sabato 25 maggio 2013
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Un creatore di edifici che vivono fuori dal tempo. Così la giuria del Pritzker Prize definisce  Toyo Ito, il progettista giapponese cui quest’anno è conferito il «Nobel del’architettura». Gli si riconosce un approccio “eclettico” al disegno, ma anche – soprattutto – il desiderio di trascendere la materia, quasi alla ricerca dello spirituale.In effetti Toyo Ito manifesta una tensione continua tra l’ambizione di librarsi e le barriere fisiche che formano inevitabilmente l’edificio: «L’architettura è limitata da molteplici aspetti di carattere sociale. Ho sempre progettato avendo bene a mente che gli ambienti sarebbero ben più confortevoli, se almeno per poco ci potessimo liberare da tutto ciò che ci limita. E poi, non appena finisco di costruire un edificio, mi duole trovarmi sempre di fronte alla mia inadeguatezza, seppure poi ne tragga uno stimolo per affrontare il progetto successivo... Anche per questo non mi esprimerò mai con lo stesso linguaggio stilistico. E non sarò mai soddisfatto del mio lavoro».Toyo Ito riceverà il premio a Boston, il 29 maggio, ricorrenza della nascita del compianto presidente John F. Kennedy, e nel museo a questi dedicato: è infatti usanza di celebrare l’evento in un luogo di particolare valore simbolico. Così quest’anno si associa una delle icone dell’America del XX secolo, l’unico presidente cattolico che abbia mai abitato la Casa Bianca e che fu ucciso cinquant’anni or sono, con un giapponese settantenne noto per la sua libertà di pensiero. E che, per giunta, è il terzo asiatico che vince il Pritzker in pochi anni: nel 2012 fu premiato il cinese Wang Shu, nel 2010 i due giapponesi Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa che tra l’altro furono allievi di Toyo Ito. Ne viene un messaggio di apertura e di dialogo rivolto al lontano Oriente, cui si accosta un altro aspetto, certamente di maggiore rilevanza sia politica, sia strategica: Toyo Ito si è attivamente operato dopo il terremoto e lo tsunami che hanno sconvolto il Giappone nel marzo 2011 e, con un paio di giovani colleghi, ha dato luogo a un progetto chiamato «Home for All», una casa per tutti. Un luogo che compaginasse l’accoglienza in condizioni di emergenza , secondo uno stile di vivere comunitario ma rispettoso della privacy: «I centri di soccorso non presentano ambienti in cui il singolo possa riconoscersi – spiega Toyo Ito –. E di solito non offrono spazi grandi a sufficienza perché tutti possano distendersi e riposare. D’altro canto le casette di emergenza che si trasportano in fretta e furia sono poco più che gusci vuoti. Sia l’una, sia l’altra opzione presentano condizioni di vita ostiche. E ciò nonostante la gente lì rifugiata sorrida e cerchi di arrangiarsi. Tutti si raccolgono assieme e condividono le loro esperienze. Commuove vedere questa ricerca di una vita comunitaria che si ripresenta nella sua essenza più pura. Di fronte a questo anche l’architettura può ritrovare la sua essenza primaria: al progettista spetta far sì che gli ambienti in cui si consumano pasti frugali siano un poco più prossimi al cuore dell’essere umano, un poco più belli, un poco più confortevoli». Così nasce la «casa per tutti», per individuare diverse tipologie di abitazione sicure, capaci di sopravvivere a futuri eventi catastrofici e di proteggere i loro abitanti. Strutture in legno leggere ed elastiche. In questo Toyo Ito sembra rifarsi a quello che ritiene il suo edificio meglio riuscito, la mediateca della città di Sendai. «La Mediateca – racconta – è diversa dal tipico edificio pubblico. Funge in prevalenza da biblioteca e da spazio espositivo, ma si voleva che tra i diversi ambienti e le diverse funzioni non vi fossero separazioni marcate e rigide». È un edificio totalmente trasparente i cui piani orizzontali sono sorretti da pilastri composti con gruppi di piedritti raccolti a corona, come fantasmi di colonne, e non verticali ma un poco obliqui. Ricordano i fasci lunghi e flessuosi di bambù. Una struttura che ha certamente un valore estetico – esprime libertà e leggerezza – ma ha anche il merito di essere estremamente flessibile: non a caso, non ha subito danni col terremoto. Il paragone con elementi naturali è frutto di studio: «Il mondo naturale è complesso e diversificato – dice ancora Toyo Ito – e i suoi sistemi sono fluidi. A differenza di questo, l’architettura ha sempre cercato di realizzare strutture stabili. Per semplificare si può dire che la struttura a reticolo sia stata elaborata nel XX secolo, e si è diffusa in tutto il mondo. Permette di costruire molto e in fretta. Ma ha anche reso le città tutte simili tra loro. Per conseguenza, anche abitare e lavorare è diventato ovunque più simile. Per quel che mi riguarda, ho cercato di modificare un poco il reticolo, studiando sistemi che mettano gli edifici in relazione con l’ambiente naturale...».A proposito del Prizker, commenta: «Ho sempre pensato che il modernismo avesse compiuto il suo corso ormai». Come dire: se l’opera di Toyo Ito è oggetto del riconoscimento ritenuto il più importante per un architetto, questo indica che stiamo passando a una nuova era, in cui non prevalgano la regolarità schematica del razionalismo, né la fantasia sfrenata dei tanti approcci variamente desiderosi del nuovo ed eclatante a tutti i costi, ma una più silente ricerca di ciò che è, bensì contemporaneo nella tecnologia, ma anche vicino alle condizioni di necessità primaria entro le quali si conformano gli elementi naturali. Quel che Kenzo Tange chiamò «metabolismo» e che andava nella direzione del recupero del rapporto tra progetto e organi.
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