venerdì 29 novembre 2019
Il direttore d’orchestra verso il 7 dicembre con la stesura originale dell’opera eseguita solo alla prima assoluta del 14 gennaio del 1900 al Teatro Costanzi di Roma
Riccardo Chailly. Il direttore il 7 dicembre sarà sul podio del Teatro alla Scala per dirigere "Tosca" di Giacomo Puccini (Fotogramma)

Riccardo Chailly. Il direttore il 7 dicembre sarà sul podio del Teatro alla Scala per dirigere "Tosca" di Giacomo Puccini (Fotogramma)

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Anche Riccardo Chailly vive «d’arte e d’amore» come canta Tosca, la protagonista dell’opera di Giacomo Puccini che il 7 dicembre inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala. «La mia arte è la musica, l’amore è quello per la mia famiglia» racconta il musicista milanese alla vigilia del debutto della popolare opera che la sera di Sant’Ambrogio va in scena con la regia di Davide Livermore e le voci di Anna Netrebko, Francesco Meli e Luca Salsi.

«Tosca, che per la prima volta inaugura una stagione scaligera, è un altro tassello della mia ricerca per proporre le versioni originali delle opere di Puccini: sul leggio avremo la primissima stesura del melodramma tratto da Sardou – e che anche Giuseppe Verdi avrebbe voluto musicare –, quella andata in scena il 14 gennaio del 1900 al Teatro Costanzi di Roma e che da allora nessuno ha più sentito perché modificata subito da Puccini per l’arrivo due mesi dopo a Milano» racconta il direttore musicale del Teatro alla Scala, premiato di recente come Artista dell’anno dalla rivista francese “Diapason”. «L’edizione critica di Roger Parker – spiega – ci consegna l’esatto volere del compositore toscano».

Che cosa si ascolterà, maestro Chailly, la sera di Sant’Ambrogio in teatro, ma anche nei cinema di tutto il mondo e in televisione con la diretta di Rai 1 Una nuova Tosca?

«La Tosca così come la conosciamo ci sarà tutta, in più ci saranno otto passaggi inediti. Una coda alla celeberrima aria di Tosca Vissi d’arte dove la protagonista ha uno scambio di battute con Scarpia. Nel secondo atto, quando la donna pugnala il capo della polizia, ci sono 15 battute che arrivano a un espressionismo che si avvicina a Berg. Il finale, con Tosca che si lancia da Castel Sant’Angelo, prevede una ripresa del tema di E lucevan le stelle a tutta forza che allunga di circa un minuto l’azione».

Qual è l’importanza di conoscere le versioni originali delle opere?

«Questo percorso di ritorno alle origini non è mosso dalla volontà di imporre una visione, piuttosto dal desiderio di condividere la fortuna di avere tra le mani testi che sino a qualche anno fa noi artisti non avevamo a disposizione. Questa versione di Tosca cinque mesi fa non era ancora stampata. C’è ancora molto da scoprire in Puccini che era un perfezionista al limite dell’autolesionismo, correggeva anche andando contro se stesso: forse non avrebbe dovuto essere così severo. È un bene per la musica che esistano queste edizioni e per quel che mi riguarda scoprirle è la ragione per cui sono ancora attivo come direttore».

In che senso?

«La ricerca è la fiamma che alimenta la mia passione e il mio lavoro: ho iniziato a dirigere a 13 anni, ho affrontato tante partiture e oggi la scoperta è ciò che riempie le mie giornate, il dirigere viene dopo. Anche perché è sempre desolante pensare che in tutta la nostra vita arriviamo a conoscere solo una piccola parte del sapere umano».

La prossima ricerca?

«Mi piacerebbe proporre la prima versione di Edgar con il quarto atto ritrovato che amplia in modo incredibile il ruolo di Tigrana. Discuterò del proseguimento del progetto Puccini con il nuovo sovrintendente Meyer, grande professionista che porta a Milano l’esperienza maturata a Vienna».

Tosca è un titolo popolarissimo. Come toglierle le incrostazioni del tempo?

«È una grande fatica, ma avere sul leggio la prima versione mi aiuta ad uscire da certi stereotipi. Dirigendo Tosca cerco di rispettare i metronomi coraggiosi del compositore che aveva uno spiccato senso dei tempi teatrali. L’edizione critica di Parker impone un ripensamento radicale nella scelta dei tempi, nel fraseggio e nelle dinamiche. E poi trascrivo sulla mia partitura tutte le indicazioni contenute nel libro di Luigi Ricci Puccini interprete di se stesso».

Come avvicinarsi a questa “nuova” Tosca?

«Abbandonandosi all’emozione dell’ascolto. E si può ascoltare anche senza prepararsi molto perché la musica ha una forza che va subito sotto pelle».

Quali le edizioni che preferisce?

«Quella del 1929 diretta da Carlo Sabajno con i complessi del Teatro alla Scala, a soli cinque anni dalla morte di Puccini, con artisti che avevano conosciuto il compositore. E poi quella del 1953 diretta da Victor De Sabata con Maria Callas e arrivata al culmine di un percorso pucciniano trentennale del direttore con orchestra e coro della Scala».

La prima Tosca che ha ascoltato?

«Proprio quella del maestro Sabajno con Carmen Melis, l’avevo trovata in un mercatino e l’ascoltavo in solitaria in camera mia: preferivo la musica a una partita di calcio con gli amici. Ma ero soggiogato alla bellezza di quella musica, dai 17 temi presenti nell’opera che identificano personaggi e situazioni drammaturgiche, che formano una ragnatela claustrofobica dalla quale non si esce sino all’ultima battuta: appaiono e scompaiono vengono sovrapposti, smembrati, dilatati, accelerati».

Visivamente che Tosca sarà?

«L’azione è collocata in un giorno di giugno del 1800 e ambientata in tre luoghi precisi. Che nella regia di Livermore ci saranno, ripensati e restituiti in modo nuovo. Io cerco sempre di staccare da quella che può essere la parte politica dei personaggi per concentrarmi sull’uomo. Mi interessa in particolare il personaggio di Scarpia, figura orribile, che sfrutta il suo potere per possedere Tosca: Puccini lo racconta scurendo l’orchestra a cominciare dagli accordi degli ottoni che aprono l’opera, rendendola melliflua per sottolinearne la doppiezza».

Il 7 dicembre tutto il mondo guarda alla Scala.

«C’è sempre un’adrenalina in più, è un momento mediaticamente esposto a livello mondiale. Il fatto che Tosca vada fuori dal teatro, in tv e in diversi luoghi della città è positivo».

Un momento emotivamente intenso per voi artisti: che cosa fa dopo che è calato il sipario?

«Ho bisogno di far decantare le emozioni dopo un’esperienza di coinvolgimento fisico e psicologico totale. Ho la necessità di rientrare in una dimensione umana, in famiglia».

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