mercoledì 24 novembre 2010
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Mistica, un termine oggi molto ricorrente in qual­siasi produzione culturale, a partire da quella alta, che si e­sprime in ricerche e pubblicazioni volte a indagare percorsi di ap­profondimento di temi caratteristi­ci della religiosità, di testi ricono­sciuti come fondativi nella storia della mistica cristiana maschile e femminile, di fenomeni di estasi, visioni e rapimenti, che in generale attraversano molte tradizioni reli­giose, oltre che pratiche filosofiche, letterarie, psicologiche. Si tratta di interrogarsi sulla possibilità di tro­vare una fondazione rigorosa del­l’esperienza mistica, un suo speci­fico statuto concettuale e un lin­guaggio criticamente omologato.Gli orientamenti in proposito re­stano ancora oggi diversificati, con autori che ritengono di riconoscere la solidità epistemologica della mi­stica, facendo ricorso alla fenome­nologia che consente di evidenzia­re la natura intenzionale, cosciente e libera, dell’esperienza mistica, e con altri autori che invece ritengo­no prevalentemente soggettivo il linguaggio usato dai mistici per narrare le loro esperienze. A questo fine, è molto importante una pre­messa chiarificatrice: qui si inten­de sviluppare un discorso collo­candosi all’interno della mistica e­braico- cristiana, la quale differisce da tutte le altre linee di mistica pre­senti in altre tradizioni religiose, occidentali e orientali, come pure differisce dalle plurime e diversifi­cate correnti della mistica olistica, filosofica, teosofica, erotica. L’espe­rienza mistica sviluppata all’inter­no della tradizione ebraico-cristia­na è un essere presi da Altro, quin­di è fare esperienza di una passi­vità che conduce all’unione con l’Altro, il quale prende l’iniziativa. Tale passività non significa tuttavia l’annullamento del soggetto. La mistica non è mai il semplice frut­to di una tecnica o di una prepara­zione ascetica da parte dell’uomo, e non si esprime soltanto nel senti­re, ma ha al suo centro la parola di Dio rivelata. L’iniziativa assoluta­mente non anticipabile e libera di Dio consiste nel fatto che Dio si ri­vela e l’unione con lui è collocabile solo in una relazione cui si accede affidandosi alla sua parola rivelata. Se questo è già presente nell’Anti­co Testamento, lo è in misura mag­giore nel Nuovo, dove – secondo Giovanni – la Parola si fa carne: l’i­niziativa di Dio è l’evento storico della sua autocomunicazione in Gesù Cristo. Su queste basi la mi­stica cristiana, quindi, non è la semplice intuizione di una realtà divina di cui tutti facciamo parte, ma è l’accoglienza interpretante del senso della vita e della morte di Gesù.Da qui nasce il sentire di es­sere stati presi dall’iniziativa di Dio e il senso di fiducia attestativa della sua verità, che entra nell’esistenza, nella carne, nel respiro. Non c’è u­nione senza relazione, e non c’è re­lazione senza il darsi di Dio come parola, come storia. In linea gene­rale, sono due le modalità di misti­ca nella fede cristiana, egualmente presenti nella storia del cristianesi­mo: la mistica autentica in senso proprio, che potremmo chiamare mistica unitiva, in cui Dio si comu­nica in modo sperimentale diretto nella forma dell’estasi, e l’uomo lo conosce senza mediazioni concet­tuali e ne fruisce amorosamente; e una mistica da intendere in un senso più lato, una mistica affetti­va, come contemplazione frutto di orazione, in cui Dio non si dona di­rettamente e l’uomo non «vede», ma «crede» la deità come tale e di ciò esulta e cresce in lui il desiderio di vedere Dio. Siamo sempre all’in­terno di un cammino che presup­pone la fede: ogni altra mistica, che si concentri su elementi puramen­te emozionali e funzionali, resta fuori dalla vera mistica, risultando piuttosto una ricerca dello straor­dinario come securizzazione della tragicità della vita. Anche una mi­stica strettamente filosofica, pur essendo portatrice di un autentico desiderio di vedere Dio, risulta i­nefficace per il raggiungimento pieno dell’obiettivo, perché nessu­na ascesi intellettuale può produr­re la visione di Dio. Alla ricerca di un «fondamento» forte dell’esperienza mistica cristiana­mente intesa, l’aiuto maggiore vie­ne dalla corrente filosofica della fe­nomenologia, al cui interno è risul­tata esemplare la ricerca di Edith Stein, allieva di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomeno­logica. Alla fenomenologia infatti si deve la possibilità di accreditare sul piano filosofico l’esperienza mistica, dal momento che l’aper­tura trascendentale della coscienza dà spazio all’intenzionalità della stessa, che riconosce l’Altro, colui che assume l’iniziativa dell’unione, e risponde all’appello dell’Altro: occorre che l’unione sia intenzio­nale e reciproca. Ma è possibile an­che la proposta di una fondazione antropologica della mistica, volta a presentare all’uomo contempora­neo l’esperienza mistica come nor­male nella sua eccezionalità: nor­male, perché è possibile per ogni uomo che dalla religiosità naturale transiti per grazia alla vita di fede; eccezionale perché, sebbene per il fedele il fine di diritto sia la visione beatifica di Dio, l’esperienza misti­ca è doppiamente dono gratuito che si aggiunge al dono della fede.Un percorso che ben converge con la fondazione teologica e cristolo­gica della mistica. Il richiamo alle tradizioni forti della mistica del passato (Meister Eckhart, la Theo­logia deutsch, san Giovanni della Croce), così come la riflessione sui complessi e variegati linguaggi del­la mistica nella modernità e nella filosofia contemporanea (Heideg­ger e Wittgenstein), può consentire una vasta messe di confronti critici e avvincenti analisi circa un territo­rio da sempre coinvolgente per il cristiano, in cui il sapienziale si co­niuga con l’esperienziale, e in cui soprattutto accade di fare espe­rienza della immensa gioia che dà l’essere presi da un Altro perché l’Altro prende l’iniziativa.
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