domenica 27 marzo 2016
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Qualcuno disse che nell’Ottocento la Bohème era il paese che confinava a nord col Freddo, a est con la Fame, a ovest con la Speranza e a sud, finalmente, con l’Amore. Quelli erano i punti cardinali e presto sarebbero stati i luoghi comuni di una letteratura che in Italia si sarebbe chiamata Scapigliatura assieme a un repertorio dove mai sarebbero mancate fredde e polverose soffitte, fiori appassiti, poeti eternamente inediti, giovani minati dalla tisi, ribelli in fuga dalla famiglia borghese e inermi sovversivi col cravattino alla Lavallière. Già immortalata dall’opera di Puccini, non è noto a tutti che documento primordiale ne fu il romanzo (o meglio una serie di racconti interconnessi) dal titolo Scènes de la vie de bohèmepubblicato a puntate sui giornali, a Parigi, e subito riunito in volume nel 1851 per conoscere un enorme e immediato successo nei teatrini di Montmartre. Lo firmava un giornalista poligrafo che un ritratto fotografico dell’amico Nadar rivela aduso agli stenti, molto sciupato, e che infatti sarebbe morto nemmeno quarantenne poco tempo dopo: si tratta di Henri Murger il cui motto paradossale, “La giovinezza ha un tempo solo”, apre il suo libro più celebre che ora, corredato da un’utile nota di Paolo Patrizi, torna semplicemente come La Bohème (Elliot, pagine 248, euro 17,50) nella versione di Alfredo Panzini approntata nel 1931 per una collana Mondadori diretta da Giuseppe Borgese. (Qui va detto, per inciso, che parliamo di una versione d’autore e però di una versione il cui stile è fin troppo somigliante a quello del firmatario medesimo, Panzini, sempre un poco reticente e untuoso. Non molte altre ce n’erano a disposizione ma la prima l’aveva redatta tuttavia Felice Cameroni, un verista orientato verso la Scapigliatura). Quanto al romanzo o alla schidionata di racconti che Murger volle legati insieme, dei ventiquattro complessivi il baricentro è al numero quattordici dove il lettore incontra in duetto i protagonisti Rodolfo e Mimì. Chi abbia in mente soltanto Puccini e le parole dei suoi librettisti Illica e Giacosa potrebbe esserne spiazzato: «Rodolfo conobbe Mimì che era l’amante di un suo amico e la fece sua sposa. Lo scandalo fu grande fra i bohèmiens; ma Mimì era molto graziosa […] Il suo visetto aveva un’aria aristocratica, illuminata da due grandi occhi limpidi e azzurri. Senonché in certi momenti o fosse noia o bizzarria di carattere, questo aspetto soave si scomponeva in certi lampeggiamenti quasi feroci di insensibilità e di egoismo implacabile». Una Mimì insensibile, feroce, implacabile? Non è certo la figura che ritorna nel senso comune dal primo quadro della Bohèmepucciniana, semmai è più vicina, ma solo relativamente, a colei che è la protagonista dell’omonima opera di Leoncavallo, il quale soltanto un anno dopo (nel 1897) volle emulare e sognò di battere sullo stesso terreno l’ex amico Puccini. Fatto sta che la Mimì di Murger, come ogni altro personaggio del romanzo, ha una corporeità più greve e aggettante, la manina di lei è dunque gelida ma è tutt’altro che diafana e pura. In realtà, a dispetto dell’attuale senso comune e nonostante uno stile eclettico e talora letteralmente svolazzante, Henri Murger si trovava molto più vicino di quanto non potesse sembrare alla estetica naturalista di Emile Zola e alle sue tranches de vie declinate, sull’onda di un romanticismo morente, nel puro segno della dialettica tra il Reale (la miseria, le soffitte, la fine per tubercolosi) e l’Ideale, cioè l’amore eterno, la fraternità o insomma l’utopia poetica. A dispetto di Leoncavallo, fedelissimo naturalista, sarà proprio Puccini a tradurre quei crudi spezzoni nello stile puramente emotivo, in una semplice dialettica di Amore e Morte, che abita La Bohème, quella diretta per la prima volta al Regio di Torino dal maestro Arturo Toscanini il 1° febbraio del 1896, l’unica che meriti il suo nome. © RIPRODUZIONE RISERVATA Ripubblicati i racconti da cui Puccini trasse il suo capolavoro. Spiazza scoprire il tratto crudo dei personaggi, idealizzati nel libretto di Illica e Giacosa Lo scrittore Henry Murger
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