giovedì 23 luglio 2009
Già nel XIX secolo il sociologo trevigiano anticipò i rischi legati a una finanza incontrollata e il declino della politica, auspicando una democrazia del bene comune. Parla l’economista Romano Molesti
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Nella storia del movimento cattolico sono molti i riferimenti a Giuseppe Toniolo e al suo ruolo di protagonista della dottrina sociale della Chiesa in grande sintonia con Leone XIII, il papa della Rerum novarum. Docente di economia per molti anni a Pisa, sociologo, attento a leggere i segni dei tempi in una realtà dominata nel mondo accademico di allora dal positivismo e dal laicismo, Toniolo affronta i grandi temi che agitavano la società del suo tempo nella quale l’individualismo del sistema capitalistico e il collettivismo esasperato dei socialisti sembravano dominanti. «Invece avverte come pochi le grandi trasformazioni in corso. Ma teme che il dominio incontrollato della finanza possa creare grossi disturbi alla società in generale e che tantissimi cittadini possano cadere vittime della "inonorata plutocrazia", come la definisce. Ma lasciando perdere questa definizione, non le sembra di ascoltare valutazioni e giudizi che riguardano la crisi globale di oggi?». Così spiega Romano Molesti, professore di storia del pensiero economico all’università di Verona e presidente della Fondazione nazionale di studi tonioliani, nelle tante pubblicazioni del sociologo trevigiano ci sono indicazioni efficaci e spunti di notevole interesse e attualità per una democrazia sostanziale, per una riforma organica dello Stato, e per una sua presenza meno invasiva:  temi che sono da anni al centro del dibattito politico. «Per troppo tempo la sua opera – ci dice ancora Molesti – non è stata adeguatamente conosciuta e studiata. I suoi volumi sono pressoché introvabili. L’Opera omnia pubblicata nella seconda metà del secolo scorso è da tempo esaurita». Una recente raccolta antologica dei suoi scritti, per iniziativa della Fondazione, dal titolo I fondamenti della società cristiana e Il concetto cristiano di democrazia rappresenta una sorta di "manifesto" politico programmatico che può aiutare anche a capire questo tempo nel quale il declino della politica, la divaricazione tra istituzioni e cittadini, le distorsioni dell’economia sono proclamati in ogni occasione. Ma qual è il concetto di democrazia espresso da Toniolo? «Potrei rispondere rifacendomi al cardinale Scola che sottolinea come il professore sia  per una democrazia "sostanziale" nella quale si esprimono il primato della società civile pur nella salvaguardia del principio di autorità e la finalizzazione al bene comune. Posso aggiungere quello che lo stesso Toniolo ha scritto. Per lui la democrazia deve tendere "a ricostruire i rapporti tra le varie classi sociali al fine di trasformare l’odierno proletariato in una classe organica e riprodurre la futura solidarietà tra tutte". Il linguaggio certo è quello del tempo. Ma il riferimento al bene comune da ricercare mi sembra attuale anche oggi. E credo che l’ultima enciclica sociale di Benedetto XVI lo ribadisce».Non le sembra però una definizione un po’ generica. Anche perché in Toniolo non mancano giudizi molto critici sul suffragio universale, sui partiti, sul ruolo dello Stato?«Per quanto riguarda il suffragio universale il suo giudizio era legato al fatto che questo poteva essere manovrato o manipolato dalla classe politica del tempo. Basterebbe pensare alle accuse di Salvemini contro "gli ascari" di Giolitti. Dei partiti – tenendo conto che i cattolici per via del non expedit non partecipavano alle elezioni politiche – teme soprattutto le degenerazioni. Non le sembra anche questo un tema di oggi? Quanto allo Stato la sua concezione organica è molto più articolata. Prevede ampie autonomie locali (oggi parleremmo di federalismo), è favorevole ai referendum popolari – di qui il suo interesse per l’esperienza svizzera – auspica una profonda riforma del sistema parlamentare, teme l’eccessiva invadenza dello Stato, chiede il riconoscimento giuridico delle unioni professionali e un’efficace legislazione protettiva del lavoro. Per questo guarda con favore alle Trade Unions inglesi. Se trasferiamo questi temi all’oggi, credo si possa riconoscere il contributo anche operativo di Toniolo».La concezione della democrazia di Toniolo, anche per la storia specifica del movimento cattolico italiano, era apparsa troppo vaga a De Gasperi perché sostanzialmente prepolitica. E cosa può dirci sul corporativismo fatto proprio dal fascismo? «È vero. Per De Gasperi Toniolo aveva trascurato "il carattere politico che la storia aveva ormai assegnato alla democrazia". Potrei aggiungere che per Croce la Rerum novarum era "vacua di pensiero politico". Quanto al corporativismo, il suo pensiero è stato distorto, manipolato nel ventennio. Toniolo affermava che poteva essere in teoria utile inserire nella stessa unione imprenditori e lavoratori. Ma – aggiungeva – che c’era un tale solco per cui diventava impossibile che si potessero avere forme di collaborazione all’interno della stessa unità produttiva. Per lui il programma delle corporazioni miste urtava e s’infrangeva "contro lo stato anomalo e radicalmente vizioso dell’odierna società in cui dovrebbe introdursi". Ma non esclude la possibilità di riunire le forme del capitale e del lavoro, nell’industria e nell’agricoltura, anche favorendo la partecipazione dei lavoratori alla ripartizione degli utili o promuovendo l’azionariato popolare. Temi che si pongono anche oggi».
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