venerdì 5 giugno 2009
L’ex centrale della Roma da marzo gioca nel Tianjin Teda: «Un altro mondo, ancora tutto da conoscere Anche qui si sta investendo molto: per una volta lo “straniero” sono io»
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E sistono più modi di interpre­tare il calcio. C’è chi - vedi Kakà e Ibrahimovic - punta al mas­simo e non può fare a meno di alza­re l’asticella del suo ingaggio e chi ­è il caso di Damiano Tommasi - vi­ve il football solo per passione e co­me esperienza di vita. A 35 anni, no­vello Marco Polo, è andato a gioca­re in Cina per uno stipendio di 40mi­la dollari al mese (alla Roma per un anno si accontentò anche del “mi­nimo sindacale” di 1.500 euro). Domanda di rito: perché la Cina? «Sono coincise alcune cose. La fine del contratto con il QPR, la volontà di continuare a giocare, all’estero o in Italia (ma solo al Verona), e la pro­posta dalla squadra del Tianjin Teda (circa 60 km da Pechino) che a marzo si appresta­va a iniziare la sua nuova stagione. Ho deciso di coglierla al volo: è una grande opportunità: nel prossimo futuro, si voglia o no, do­vremo tutti confrontarci con la Cina e il suo popolo». I numeri di Tommasi: 10 gare con tre vittorie nelle prime tre giornate (ora è 4° in classifica a 3 punti dalla vetta) e un gol con la maglia del Tianjin, dedicato all’Abruzzo. «Non ho dedicato il gol alle “vittime” del terremoto... Parlare solo di calcio quando si vivono eventi di questo ti­po lo reputo molto ridut­tivo e fuor­viante. Vor­rei dedicare ben altro a quanti stan­no vivendo questo mo­mento così difficile».Come sono i presidenti dei club in Cina? Patron-mecenati come in I­talia o più imprenditori? «Un mix di imprenditori e gruppi di­rigenti. Anche una parte di inter­vento pubblico è presente. Sono qui da poco: non conosco le varie realtà in modo approfondito». Gli sponsor cinesi come si avvici­nano al football: un “prodotto” cer­tamente nuovo in questo mercato? «C’è molto interesse perché fa par­te del grande business dei Paesi eu­ropei e per questo molte aziende so­no attente al movimento. La prima divisione da quest’anno si chiama “Pirelli Super League” e questo la di­ce lunga sul legame calcio-Europa­Cina. E c’è il Governo che nell’otti­ca di rendere più competitiva la Na­zionale sta investendo molto, so­prattutto nel calcio giovanile». Verona, Roma, Levante (in Spagna), QPR a Londra, Tianjin: accumula e­sperienze di vita o crede che le ser­viranno per un futuro da allenato­re o da dirigente? «Non so quale strada prenderò una volta appese le scarpe al chiodo: di sicuro queste esperienze mi stanno aiutando molto a livello personale. L’esperienza diretta nella mia pro­fessione potrebbe essere uno sti­molo a rimanere nell’ambiente ma non certo un obbligo».Lei ha sempre sottolineato l’impor­tanza dello spogliatoio: a Trigoria parlava dell’opportunità di con­frontarsi con persone che avevano altre usanze. Come gestisce i rap­porti adesso che è lo “straniero”? «Vivo questa esperienza dopo quel­la di “padrone di casa” e ho il ram­marico di non aver accolto a dovere chi veniva da fuori. Tante sono le dif­ficoltà, le perplessità e i dubbi che si hanno da ospite: essere ricevuti be­ne è fondamentale. Ovunque sono stato mi hanno accolto benissimo e in tutti questi posti so che tornerò con molto piacere». Quanto è stata importante la fami­glia nelle sue decisioni? «Fondamentale. Se mia moglie non se la fosse sentita di rimanere in Ita­lia con 4 figli non avrei mai pensato di partire. Credo che questa espe­rienza serva anche alle mie figlie più grandi (12 e 10 anni): capire che esi­ste un altro mondo, molto diverso, sarà di aiuto nella loro crescita».
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