giovedì 4 agosto 2022
A trent’anni dalla scomparsa dell’arcivescovo di Praga il ricordo delle parole con cui esortò nel 1989 i cecoslovacchi alla libertà – «Alzate la testa e raddrizzatevi» – è ancora un monito
Il cardinale František Tomášek, arcivescovo di Praga e primate di Cecoslovacchia

Il cardinale František Tomášek, arcivescovo di Praga e primate di Cecoslovacchia - Archivio Siciliani

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«Alzate la testa e raddrizzatevi: proprio oggi dobbiamo chiederci come e perché. Non possiamo più trascurare la salute spirituale e morale del popolo. Tutto ha fine, solo Dio è eterno. Luce, forza, vittoria». Era la mattina di sabato 25 novembre del 1989, festa di sant’Anna di Boemia, quando il cardinale František Tomášek, arcivescovo di Praga e primate di Cecoslovacchia – del quale si ricordano oggi i 30 anni dalla scomparsa – pronunciò queste risolute parole rivolgendosi alle decine di migliaia di persone radunate nella grande piazza Hradcanské, davanti al palazzo dell’arcivescovado e alle porte del Castello, sede dei poteri istituzionali, nel cuore di una città ferita e tremante. Così il prelato, quasi novantenne, diede coraggio anche agli uomini “senza fede” che non volevano più lottare perché, come lui, avevano ricevuto violenze, minacce e intimidazioni da chi negava loro tutte le libertà. E risvegliò quella “Chiesa del silenzio” terrorizzata e irretita dalle persecuzioni del regime. Fu una sfida e una svolta contro il totalitarismo. Il muro di Berlino era caduto 16 giorni prima e anche a Praga e Bratislava si respirava l’aria del cambiamento: il discorso di Tomášek, che accompagnò l’opera di moderazione nei confronti dei movimenti di rivolta per evitare spargimenti di sangue, avrebbe accelerato la “Rivoluzione di velluto”, quel processo di rinnovamento dal basso che, animato soprattutto da studenti, artisti e intellettuali e sostenuto dall’opinione pubblica internazionale, provocò in breve tempo il disfacimento della dittatura comunista in Cecoslovacchia. La settimana precedente all’intervento pubblico dell’arcivescovo, cinquantamila cittadini avevano manifestato in occasione della Giornata Internazionale degli Studenti per gridare il loro aperto dissenso al regime, un severo sistema di potere instaurato nel 1946 sotto il controllo dei sovietici e proseguito nonostante la “Primavera di Praga” con le riforme di Alexander Dubcek che durarono solo dal 5 gennaio al 20 agosto del 1968, quando il tentativo di affermare un “socialismo dal volto umano” venne schiacciato dai carri armati del patto di Varsavia mandati in Cecoslovacchia dal Cremlino per l’“Operazione Danubio”. Anche allora i giovani praghesi scesi nelle strade furono respinti dalla polizia e dai soldati a colpi di manganello e con sanguinosi pestaggi. E il 16 gennaio 1969 il ventunenne Jan Palach per protestare contro l’indifferenza della maggioranza dei cittadini all’invasione militare sovietica e scuotere le coscienze si cosparse di benzina dandosi fuoco davanti alla statua di san Venceslao, il protettore della nazione boema. Altri esponenti del movimento studentesco lo emularono compiendo in pubblico il gesto estremo. Vent’anni dopo, seguendo l’e- sempio di Solidarnosc che in Polonia contribuì a rovesciare il governo del generale Jaruzelski consentendo un’incruenta transizione del Paese alla democrazia, le masse popolari, guidate dallo scrittore Václav Havel e dagli altri intellettuali di Charta 77, riempirono quasi ogni giorno le piazze della capitale cecoslovacca con cortei e manifestazioni anticomuniste creando una pressione così forte da costringere in sole tre settimane alle dimissioni prima del segretario del partito Miloš Jakeš e poi del capo dello Stato, Gustáv Husák. Nel giugno del 1990 furono indette le prime elezioni democratiche del dopoguerra e Havel diventò presidente della Repubblica. Pungolo costante verso i politici ma impegnato anche a evitare lo scontro diretto con le autorità, il ruolo di Tomášek, “il cardinale di ferro”, fu decisivo per l’affermazione della democrazia nel suo Paese. Diventò presto un simbolo della resistenza al regime. Patì di persona soprusi e violenze. Come migliaia di altri preti cecoslovacchi per sfuggire alle persecuzioni religiose fu costretto a dire messa e fare catechesi di nascosto nelle abitazioni private. Consacrato sacerdote nel 1922, insegnò teologia finché gli fu permesso. Nominato in segreto vescovo ausiliare di Olomouc, in Moravia, vicino a Studénka, la sua città natale, venne mandato in esilio in una parrocchia di campagna (dove scrisse libri di catechismo sotto falso nome) e poi internato per tre anni in un “convento di concentramento” e obbligato a svolgere lavori di bassa manovalanza. E quando, nel 1965, all’arcivescovo di Praga Josef Beran fu impedito di rientrare in città (si trovava infatti a Roma per ricevere la berretta rossa da papa Montini), Tomášek fu nominato ammini-stratore apostolico dell’arcidiocesi. Domenica 17 marzo, giorno del suo insediamento, in tutte le chiese del territorio praghese venne letta una coraggiosa e commovente lettera con la quale si presentava ai fedeli: «Noi tutti abbiamo sopportato insieme il peso degli anni passati: disprezzo, umiliazioni, calunnie, intimidazioni, bando dalla vita pubblica, coercizioni, internamenti, carcere. Fanciulli, giovani, famiglie, religiosi, sacerdoti, vescovi, e lo stesso arcivescovo di Praga, hanno subito queste oppressioni – scriveva monsignor Tomášek –, siamo stati privati della nostra stampa, siamo stati impossibi-litati a mantenere i contatti tra noi e con il Vicario di Cristo, siamo stati tagliati fuori dal cammino e dalla vita della Chiesa universale. Dio, tuttavia, non ha abbandonato i suoi fedeli e sono felice di ringraziarvi per avere conservato tutta la freschezza del cristianesimo. La nostra Quaresima è stata una prova, ma anche la grazia di Dio». Il documento è come una dichiarazione di intenti, un programma pastorale e sociale. «Non comprende il cristianesimo chi lo interpreta come qualcosa di passivo, come una fuga dal mondo: al contrario, esso stimola all’azione e alla viva partecipazione, alla promozione dei più autentici valori della vita. Non chiediamo privilegi – concluse –, in tutta coscienza rivendichiamo solo i nostri diritti in una società democratica». Tomášek riuscì anche a partecipare ai lavori del Concilio Vaticano II ma visto il drammatico precedente di Baran, nel concistoro del 24 maggio 1976 Paolo VI lo creò cardinale “in pectore”. Rimase pastore clandestino per un anno e poi uscì allo scoperto per potersi confrontare apertamente con le autorità e i fedeli. «Ero spiato anche in casa» raccontò «mi mettevano i microfoni nei lampadari ». Ma non ci furono reazioni inconsulte. «Noi compiamo dei piccoli passi con pazienza, sperando contro ogni speranza per l’avvenire della patria» spiegava il cardinale. «Santità, la Chiesa ceca ha sofferto ma le è rimasta sempre fedele» riferì a Papa Giovanni Paolo II venuto in visita a Praga il 21 aprile del 1990, quando ormai anche l’ultimo pezzo della “cortina di ferro” era stato divelto con la forza della ragione e della fede. Wojtyla lo chiamava, per questo, «quercia dello spirito». František Tomášek morì il 4 agosto 1992, all’età di 93 anni, a causa di un arresto cardiaco aggravato da una polmonite. Volle lasciare l’ospedale per spirare nel suo letto in episcopio, a fianco dei suoi collaboratori. È sepolto in una cappella della cattedrale metropolita di San Vito a Praga. A presiedere le esequie fu il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato vaticano. In chiesa, per l’ultimo saluto, tra il popolo praghese che tanto l’amò, anche Helmut Kohl, cancelliere tedesco, Lech Walesa, presidente della Polonia, Thomas Klestil, presidente dell’Austria, Jozsef Antall, primo ministro ungherese, e il presidente ceco, l’amico Vacláv Havel. Il vescovo ausiliare Jaroslav Škarvada lesse il testamento al termine della messa: «Saluto voi tutti che siete venuti al commiato da questa terra e voi tutti che vi ricordate di me, là dove vi trovate. È un congedo soltanto per un breve periodo, perché anche la vita più lunga scorre veloce come un attimo fuggente e la nostra esistenza umana duratura comincerà con colui che ci ha dato la vita, con il nostro buon Padre celeste (…). Ora chiedo perdono a quelli che hanno avuto l’impressione, qualche volta, che non mi sia dedicato pienamente a loro». Lungo la via Stríbrná, a Staré Mesto, la città vecchia di Praga, un museo all’aperto ricorda oggi con le immagini più toccanti, gli anni della “Rivoluzione di velluto” e la figura di questo uomo di Chiesa considerato dai cechi, con Havel, un eroe nazionale.

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