venerdì 1 aprile 2011
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Ha parato tutto il possibile Fran­cesco Toldo e a volte, forse an­che l’impossibile. Più perso­naggio da derby del “gigante buono” (196 centimetri d’altezza) di Padova non ce n’è. La sua lunga carriera da guar­diano di porta era cominciata a Mila­nello. «Ero arrivato al Milan a 17 anni, dividevo la stanza con Gianluca Pes­sotto». Poi è andato a Firenze e dal 2001 fino alla passata stagione ha contribui­to allo sviluppo del bolide Inter. A qua­rant’anni (li compie il 2 dicembre) Tol­do non va più in porta come faceva il suo «idolo d’infanzia», Dino Zoff, ma prova ancora a bloccare e a deviare i mali che affliggono quei bambini me­no fortunati che assiste, in giro per il mondo, da ambasciatore di Inter Cam­pus.“Ambasciator”, dunque, non porta pe­ne, ma palloni?«Con Inter Campus portiamo prima di tutto il diritto al gioco e allo studio, con la certezza che il pallone è uno stru­mento magico: fa sparire momenta­neamente i problemi e dona gioia. Men­tre stiamo parlando la cosa che più mi affascina è che anche in Africa, oppure in India o negli Stati Uniti che non so­no proprio dei Paesi calciofili, anche nel villaggio più remoto ci sono persone di tutte le età che stanno rincorrendo un pallone».Potere del calcio solidale, che è in gra­do di unire anche Inter e Milan perfi­no nella settimana del derby-scudet­to.«Collaboriamo con Fondazione Milan e a settembre andremo insieme dai bambini terremotati dell’Abruzzo, a Vil­la Sant’Angelo. Lì Inter Campus ha già costruito un campo in erba sintetica e quest’estate ai ragazzi abbiamo regala­to tre settimane di vacanze sulle Dolo­miti».Prima che diventasse allenatore, a ca­po di Fondazione Milan c’era Leonar­do, attuale tecnico dell’Inter.«Con Leonardo infatti quando ci siamo incontrati non abbiamo parlato di cal­cio, ma ci siamo confrontati sulla base della sua precedente esperienza in Fon­dazione Milan. Gli ho confidato delle grandi emozioni che sto vivendo in que­sto nuovo ruolo in Inter Campus e dei tanti viaggi che faccio per far conosce­re e ampliare sempre più il nostro pro­getto».Quali sono le ultime vittorie importanti di Inter Campus?«Anche solo riuscire a regalare un sor­riso ad un bambino per noi rappresen­ta un successo. A volte una nostra par­tita ha anticipato la cessazione di un conflitto o comunque è servita a crea­re un momento di pace. In Terra Santa siamo riusciti a far giocare insieme ra­gazzini palestinesi e israeliani. È stata la conferma che spesso gli adulti sono “in­quinati”, mentre ai bambini basta un pallone e una maglia dell’Inter per sen­tirsi parte integrante di uno stesso mon­do».Parole da campione e di chi è entrato in profondità nel mondo dei più pic­coli.«La mia prima regola è sempre stata: mai negare una foto o un autografo a un bambino quando lo chiede. Ai loro oc­chi noi calciatori siamo degli esempi e allora se gli rifiuti un gesto così sempli­ce, non solo gli fai del male, ma in quel­lo stesso istante crolla anche la bella im­magine dell’eroe che si era fatta di te».Chi è stato il maestro di Francesco Tol­do?«Giancarlo Caporello, un uomo fanta­stico che a Montebelluna ha tirato su una marea di ragazzi. Ricordo ancora le sue Superga bucate… Un giorno gli dico, ma scusa Giancarlo, perché non te ne compri un paio nuove? E lui: “Vedi Francesco, io senza queste come faccio a metterti la palla sot­to l’incrocio?”. Mi a­veva appena inse­gnato che cos’è l’u­miltà: accontentarsi di quello che hai e cercare di migliorar­ti con un approccio positivo nello sport come nella vita».Un approccio che nel nostro calcio stressato spesso non si avverte.«È vero. E così capita di rimanere spiaz­zati quando prima e dopo una finale del Mondiale per club vedi in uno spo­gliatoio venti giocatori congolesi (quel­li del Mazembe) che cantano felici, an­che se hanno perso. Da noi bastano due sconfitte di fila per gridare al dramma».Da noi si dice anche che il calcio è in cri­si perché ci sono troppi stranieri.«Gli 11 stranieri in campo dell’Inter non sono uno scandalo e tanto meno ruba­no il posto ai nostri giovani, ma vanno visti invece come 11 mondi che si con­frontano tutti i giorni. I miei compagni di squadra mi hanno sempre arricchi­to con le loro storie che arrivano dalla Romania fino al Ca­merun, passando per l’America latina. E poi, se gli italiani so­no bravi, a gioco lun­go si può star certi che il loro spazio lo trovano. In caso con­trario, vuol dire che il campo, l’unico giudi­ce del talento, ha selezionato il miglio­re».E il talento in porta come si seleziona?«Il grande portiere deve essere strava­gante, un po’ sbruffone, lunatico e pos­sedere la giusta dose di sana pazzia che lo aiuti a superare le situazioni più de­licate».Ha fatto un identikit assai distante dal suo idolo Dino Zoff che poi ha ritrova­to come ct in Nazionale. Cosa ha pen­sato quando si dimise per le critiche ri­cevute dal premier Berlusconi?«L’ho ammirato. Quella è stata la scelta che può fare solo un uomo libero, che se ne frega dei soldi, perché il rispetto e la dignità non hanno prezzo. Ma pochi arrivano a tanto. Dopo Zoff comunque l’ha fatto anche Leonardo...».C’è stato un momento che tra lei e Gi­gi Buffon si era creato un “duello” spor­tivo, tipo Bartali-Coppi.«Tra me e Gigi mai stata rivalità, perché prima che due campioni siamo due brave persone. Tra i portieri della Na­zionale poi c’è sempre stata complicità. Mai digerito il ritiro, anzi sarei per l’abolizione, ma ci tornerei solo per rivi­vere certe notti con Angelo Peruzzi: an­che alla vigilia di una sfida importante si rideva come dei pazzi fino all’alba».Possiamo dire che il suo più grande rimpianto in azzurro è stata la finale persa al golden-gol con la Francia, agli Europei del 2000?«No perché grazie a quegli Europei an­cora oggi tutti si ricordano di Toldo e dei rigori parati nella semifinale con l’O­landa. E poi la sconfitta con la Francia mi ha insegnato una cosa molto im­portante che vorrei inculcare ai giova­ni: smettere di considerare il primo un fenomeno e il secondo classificato co­me un povero asino. Per cambiare que­sta deformazione mentale il calcio do­vrebbe andare a prendere lezione dagli altri sport».Il calcio, vista la pagina nera di Calcio­poli, dovrebbe prendere anche lezioni di trasparenza.«Dove ci sono grandi interessi econo­mici si insinua il malaffare e il calcio non è esentato. In quegli anni di Cal­ciopoli ho provato una sensazione di impotenza. La legge del campo non e­ra più rispettata, ma veniva costante­mente sopraffatta da forze esterne. U­na volta scoperte e allontanate quelle, ho capito che era giusto restare all’In­ter. Ripristinando la legge del campo questa squadra non poteva che vince­re tutto, come è stato. E come sarà...».Inter ancora superiore, anche al Mi­lan?«Leonardo ha riportato quell’energia e quella convinzione dell’Inter di Mou­rinho. E contro quella, diventa durissi­ma per tutti, specie in Italia».
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