venerdì 19 ottobre 2012
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​La "via dei Cantoni" (cantun è il nome dialettale dei vecchi nuclei abitati che costellano la vallata) è un tracciato di mulattiere e sentieri che tocca le borgate di Cappia, Succinto, Lasazzio, Fondo, Tissone, Talorno, Perotto, Gaida, Durando, Cantoncello, Delpizzen, Chiara, nomi che a chi non è mai stato in Valchiusella non dicono niente, ma a chi invece in valle si reca per la prima volta svelano uno dei mille volti di quell’Italia cosiddetta "minore" che sono la ricchezza del Paese.Valchiusella, Piemonte, alto Canavese, alle spalle di Ivrea. Non ci si arriva per caso, bisogna volerlo. È lunga 25 chilometri, stretta, e se il topononimo suggerisce una idea di chiusura permette ugualmente un rimando quasi automatico ad un’altra valle più famosa, la provenzale Valchiusa delle chiare, fresche e dolci acque del Petrarca. Accostamento arbitrario? Non tanto: in questo angolo di Piemonte a ridosso della Valle d’Aosta in fatto di acque non si scherza, ce n’è in abbondanza, e tradizione vuole che già i Salassi, gli antichi abitatori, provvedessero – dietro compenso – al rifornimento idrico delle legioni romane avviate all’occupazione della Gallia. Acqua e ferro, cedevano: la Valchiusella conosceva la metallurgia e l’attività estrattiva dai tempi remoti, e l’ultima miniera di Traversella è stata chiusa solo nel 1971. Si dice che con il ferro di Valchiusella siano state fuse le palle di cannone che hanno permesso a Napoleone di regolare la partita con gli austriaci durante la sua seconda campagna d’Italia.Storie – e storia – di ieri. Anche nelle epoche più lontane (la presenza umana rimonta a 10 mila anni fa, le incisioni rupestri sono del 4 mila avanti Cristo, allo stesso periodo viene fatto risalire il menhir di Lugnacco) si doveva vivere decentemente: acqua, boschi, buona terra, abbondante disponibilità di cibo. E oggi si vive bene: cinquemila residenti disseminati in una dozzina di comuni condividono la tranquillità di una esistenza che tra gli altri pregi vanta quello non indifferente di non esporre allo stress del chiasso, del traffico impazzito, del caos cittadino. Valchiusella, cioè valle di una serenità che si respira nell’aria e che è figlia del lavoro. Un tempo i valchiusellesi emigravano, qualcuno di loro ha dato una mano perfino alla costruzione della Transiberiana, altri sono finiti in India, altri nelle Americhe. A Traversella, il centro principale, sulla facciata della Ca’ del teimp la casa del tempo, museo e sede di centro studi, campeggia una singolare meridiana: oltre all’ora locale lo gnomone indica quella delle principali città dei vari continenti dove è finita gente di qua, abituata a partire (lo fecero anche gli esuli dei moti carbonari del 1821, ricordati da una lapide a Vico Canavese) ma intenzionata – quando possibile – a far ritorno alla propria terra.Terra di cascate e di ruscelli, di ponti di pietra sul torrente Chiusella e gli affluenti, di laghetti, di percorsi escursionisti, di trekking, di palestre di roccia, di rifugi in quota, e – in questa stagione – di feuillage, lo spettacolare viraggio di colore della vegetazione arborea. Terra di coltivi, di prati, di alpeggi, di malghe, di erbe pregiate, di ottimo latte e di formaggi che non hanno rivali. Terra di artigianato e di turismo colto, riflessivo, non caciarone.  Non ha torto Carlo Petrini, il guru di Slow Food, ad affermare che questo è un piccolo angolo di Svizzera, curato, pettinato, ben tenuto, abitato da donne e uomini consapevoli del valore del lavoro e dell’importanza della tutela del territorio. «La nostra prima ricchezza è l’acqua», dice Bruno Biava, «ma anche l’acqua ha bisogno di cure, attenzioni, rispetto».Bruno Biava, memoria storica della valle, spiega con semplici parole come questa comunità declini lo stare insieme e il vivere fianco a fianco orientati ad un ideale di esistenza che fa perno sulla condivisione. Non sorprende che il luogo primario di aggregazione, mercato e scambio sia sempre stato il sagrato delle chiese. «A Traversella la piazzetta della chiesa di Santa Croce era detta piazzetta della Vicinanza: dopo messa i capifamiglia assumevano le decisioni di interesse generale, una specie di consiglio comunale informale ma vincolante nelle scelte». Chissà che anche oggi la ricetta non possa funzionare...Bruno ricorda che fino agli anni Quaranta del Novecento la quotidianità dei paesi era scandita dalle cosiddette roide, derivate dagli statuti minerari del Medioevo. I lavori di manutenzione di sentieri, strade, sorgenti, boschi toccavano alle famiglie, ognuna delle quali metteva le sue braccia, una corvée compensata da uno sgravio di imposte  ma anche un modo per trasmettere ai ragazzi l’esperienza operativa dell’anziano, «un momento di socializzazione e di apprendimento, una festa più che una fatica». Bruno ricorda che a otto anni, in tempo di roide, spalava la neve. «Ma questa esperienza è andata perduta, si rischia di vedere cancellata la memoria collettiva». Un rischio che la Valchiusella non sembra però disposta a correre, perché lungo la "via dei Cantoni" il presente e il passato dovranno tornare ad incontrarsi per gettare insieme le basi di un futuro da condividere con coloro (pochi ma eletti) che si avventureranno lungo la strada (tortuosa) che sale dalla pianura per vivere emozioni che non ti attendevi.
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