lunedì 23 febbraio 2015
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Nigel Willerton è un ex poliziotto della Metropolitan Police di Londra, ha una sessantina d’anni, i capelli bianchi come gesso. Somiglia vagamente all’attore Leslie Nielsen, quello di “Una Pallottola Spuntata”, ma non fa ridere. Dal 2011 è a capo della Tiu, Tennis Integrity Unit, fondata su richiesta dei due circuiti professionali Atp e Wta nel 2008 da Jeef Rees (altro poliziotto, ma di Scotland Yard) per debellare la piaga delle partite vendute. «Dietro ogni partita c’è una scommessa», è solito dire Willerton, frase che non vuol dire molto, o al contrario, può significare moltissimo. Sta a lui il compito di stabilire quali siano i confini oltre i quali una partita entra a pieno diritto fra quelle che hanno molto da dire, ed essere considerata corrotta.È grazie al lavoro di Willerton che oggi il tennis può parlare di scommesse utilizzando verbi al passato. Il fenomeno non è certo scomparso, ma sembra aver perso il passo spedito (la virulenza, se preferite) dei primi tempi, quelli spericolati degli inizi, dal 2006 al 2008, che determinarono la nascita della Tiu, e anche dei successivi, dal 2008 al 2011, caratterizzati da una comune pesca nel torbido, condotta da mani assai poco pulite, quelle sempre presenti della criminalità organizzata, ma anche quelle di piccoli affaristi consorziati per incassare qualche buon colpo. In seria difficoltà nel cogliere i rei in flagrante, così come nel reperire confessioni di prima mano, Willerton ha stretto i cordoni dell’alleanza con le grandi case da gioco e ha intensificato l’azione dei suoi 007. Con le prime è riuscito a creare una rete in grado di determinare rapidamente l’eccesso di giocate su un match, o su un aspetto particolare dello stesso (la vittoria di un solo set, per esempio). Con i vigilantes, invece, ha creato un clima di sano terrore nel circuito. Nella rete sono finiti in pochi. Il più noto è ancora oggi il primo ad aver tagliato il traguardo della squalifica a vita, l’austriaco Daniel Koellerer, numero 55 Atp nel 2009, un tipo noto per le sue intemperanze sul campo, uscito di scena fra gli applausi soddisfatti dell’intera comunità tennistica. Poi, David Savic, serbo (363 Atp), Sergei Krotiouk, russo (468), infine Sergey Kumantsov, altro russo (260).Il contributo degli italiani a siffatto quadro non giunge dalle indagini della Tiu, e dunque non può essere giudicato al momento dagli organismi del tennis internazionale, ma dall’inchiesta della Procura di Cremona, condotta dal Pm Roberto De Martino, il cui filone principale riguarda il calcio. È identico il periodo, 2006-2011, diversa invece la ricerca delle prove, avendo la Procura intrapreso la via delle intercettazioni, negata per evidenti motivi a Willerton e soci. Fra i molti “ascolti” calcistici sono spuntati anche quelli sul tennis e un nome su tutti: Daniele Bracciali, 37 anni, doppista di discreto valore, numero 49 in singolare nel 2006. Degli altri nomi a corredo, alcuni sono rapidamente usciti dall’inchiesta (Bolelli e Volandri), uno solo è rimasto impigliato nella rete dei dubbi e delle supposizioni (si vedrà poi se anche delle prove), quello di Potito Starace, 33 anni, numero 27 Atp nel 2007. Nel mondo delle scommesse, dove i tennisti non parlano ma i gestori dell’inciucio talvolta sì, seppure mascherati da “senza nome”, gli italiani sono giudicati alla stregua dei soliti “furbetti del quartierino”: se lo fanno, arrangiano, mostrano crepe di ingenuità, e magari si fanno anche beccare. Più preoccupato il giudizio espresso dalla federazione, che lo scorso 12 febbraio, in occasione della conclusione dell’inchiesta cremonese, ha preferito sospendere per 40 giorni, in via cautelativa, Bracciali e Starace, accogliendo la possibilità (non smentita dalla Procura) di una reiterazione del presunto reato. I due non potranno prendere parte ad alcuna attività italiana sotto egida federale, né ai tornei organizzati dalla Itf, l’ultra federazione internazionale, ma possono giocare i tornei Atp nel resto del mondo, dunque quelli del circuito maggiore e i challenger. Se la sospensione serve a poco, il passo era comunque atteso da parte della federazione. Serve per istruire un processo a carico dei due (i 40 giorni) e anche a togliersi da qualche imbarazzo. Starace e Bracciali sono ex davisman (lo sono stati rispettivamente fino al 2012 e al 2013), Potito considerato quasi una bandiera per la dedizione alla causa azzurra, e Daniele addirittura consigliere federale. Inoltre, i due vengono considerati in qualche modo recidivi, dato che finirono con altri azzurri nel calderone dei primi dispositivi anti-scommesse, in quel caso più per una leggerezza che per un vero e definito tentativo di illecito: giocarono un po’ troppo spensieratamente qualche puntata, utilizzando fra l’altro i conti intestati a loro nome. Oggi, la Procura di Cremona sembra convinta della loro colpevolezza. Sul nome di Bracciali pesano numerose intercettazioni, che il tennista ha tentato di spiegare nel dibattimento del 24 gennaio, senza però convincere il Pm De Martino. Starace, invece, nega qualsiasi addebito e si fa difendere dall’avvocato Luigi Chiappero, che fu al fianco della Juventus nella vicenda doping e poi di Conte per il calcioscommesse. La via che porta al doppio processo (sportivo e ordinario) per i due è a questo punto ineludibile. Come l’affronteranno, si vedrà.Restano, nel quadro complessivo del fenomeno, molti dubbi, molti sospetti e almeno un “buco nero”. Dubbi e sospetti appartengono ancora al primo periodo delle scommesse. La famosa partita di Davydenko (mai finito sotto accusa), sulla quale furono investiti milioni di dollari da parte di scommettitori più o meno grandi; e le voci che circolano su alcuni dei Top 30, sia della classifica maschile sia di quella femminile. Il buco nero riguarda, invece, i gradini più bassi della scala professionale, i tornei Future e Challenger, nei quali si dibattono molti tennisti che stentano a far quadrare i conti a fine anno. È lì che la Tiu cerca di non mollare la presa. Ed è lì che le richieste di qualche “concessione” (anche solo quella di mollare un set, e non tutta la partita) a beneficio degli scommettitori, trovano ancora qualche breccia. Nel tennis gira una frase che la dice lunga: il numero 80 del mondo con la racchetta guadagna meno del golfista numero 300. Il che è vero, cifre alla mano. Ma non possono essere i soldi che mancano a confezionare delle buone scuse per scendere così in basso.
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