giovedì 11 maggio 2017
Agli Internazionali in campo tutti i top però serve una nuova dimensione: è un grande torneo, ma non è il “quinto Slam”
Roma, città semiaperta
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Nello sport tutti cercano qualcosa. O la sognano. Il resto del tempo lo trascorrono volando. Il tennis non fa difetto. Al ritmo di un torneo a settimana, per quarantacinque settimane l'anno, il tramestio prodotto dal popolo di cercatori e di transvolatori, spesso sofferenti (soffre, ma vola in semifinale... un classico!), è quasi stordente, in compenso offre l'opportunità di scegliere una storia fra le tante, e magari scoprire che al fondo di essa si celi davvero quella vena aurifera a lungo fantasticata.Cercano gli assenti e i presenti. Ci si chiede che cosa stia cercando Roger Federer, che ha dominato per tre mesi poi si è ritirato nelle sue stanze, saltando la stagione dei tornei sulla terra rossa. Ci si chiede se esista un progetto di alternanza democratica, nell'attuale guida a due del tennis internazionale, o se non sia più giusto parlare di restaurazione, dato che Federer da una parte, e Nadal dall'altra, giocavano in coppia (il gatto e la volpe) già dieci anni fa, subissando la concorrenza.

Ma è un fatto: alle vittorie dell'uno sono seguiti i successi dell'altro. E numeri sempre più incomprensibili per chi conosca le fatiche dello sport professionale: diciotto tornei dello Slam per Roger, dieci vittorie a Monte-Carlo per Rafa, poi dieci a Barcellona, e in prospettiva dieci al Roland Garros parigino.Cercheranno di fermarli gli altri cercatori? Bella domanda se non fosse che gli "altri cercatori" sono talmente evanescenti da far pensare che essi stessi, per primi, vadano cercati. Djokovic, per esempio, è a un bivio: cercare chi ormai lo sopravanza, o cercare se stesso? O forse il bivio è un crocicchio, perché fra tante ricerche c'è da trovare anche chi possa aiutarlo a ritrovarsi. Quelli di prima li ha cacciati tutti. Coach, preparatori, fisioterapisti, Boris Becker e Marian Vajda. Sembra voglia chiamare Andre Agassi, forse perché fra i tanti è uno che alla fine si è ritrovato, e si è fatto scrivere una bellissima autobiografia (Open Einaudi) molto romanzata, per dire come tutto sia bizzarro nel mondo dello sport.

Anche Djokovic lo è un bel po'. Ha dominato il tennis per tre anni buoni, ma senza mai vincere a Parigi. Poi ce l'ha fatta (l'anno scorso), ha completato la sua ricerca, e ha sentito di non avere più niente dentro. Ora vince pochissimo e segue il suo guru, uno spagnolo ex tennista, Pepe Imaz, che evoca e sostiene (cerca, anche lui?) «l'Amor y Paz, la pace e l'amore», peace and love, come gli hippy di quarant'anni fa. E dite, avete mai visto un tennista vincere al grido di «peace and love»? Noi, mai. Lo stesso gli altri, chi più, chi meno. Il numero uno è Andy Murray, che ha giocato benissimo da quando Djokovic ha smesso di vincere. Ma anche lui si è fatto di nebbia al momento di gestire le incombenze da "primo fra tutti". Ora non vince più, ma non ha smesso di tiranneggiare sul suo team, dove la parte femminile (moglie, mamma, un tempo anche il coach, che era la francese Mauresmo) è esuberante e molto paziente. Colpa loro se i colpi non partono più come nei mesi addietro...Poi Wawrinka che non sa che fare, e i giovani che non vogliono crescere, e la Sharapova che torna, e le altre che non la vogliono. E Serena Williams che è incinta. E moglie Pennetta che sta per avere un figlio. E marito Fognini che gioca con il telefonino in mano, per sapere se baby "F" - sarà Francesco, Filippo, Fabrizio o Federico? Mamma Flavia dice che lo vuole vedere prima di decidere, ma il nome inizierà comunque con la lettera «effe» - abbia deciso di venire al mondo. Non ci si annoia, come si vede.

Ed è con la consueta curiosità che Roma aspetta il suo torneo (da ieri le qualificazioni). Tanto più che anche Roma, Internazionali, Foro Italico, cerca qualcosa. Una nuova dimensione, verrebbe da dire. Ma può trovarla solo attraverso atti politici, e magari qualche machiavellismo tattico. È un grande torneo, ma non è il quinto Slam. Certo non è la sagra paesana di cui cianciano i detrattori. È un torneo che cresce, nel pubblico e nei servizi, ma è opportuno chiedersi se le attuali condizioni non diverranno un limite insuperabile a questa crescita. Nuoce la vicinanza con il Roland Garros, che giunge la settimana successiva. Se vuole ingrandirsi, il torneo dovrà ricollocarsi, e per farlo occorre avere un peso politico (nel tennis di vertice) che non ammetta contrapposizioni. Ora come ora, due settimane tutte per sé, a un passo da Parigi, Roma non le avrà mai. Ma i campioni (Federer, a parte; e Serena, per ovvi motivi) ci saranno tutti. Vedremo se qualcuno ne approfitterà per trovare ciò che cerca. O per spiccare il volo.

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