domenica 12 settembre 2010
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Bomarzo, Lazio, 1552. Vicino Orsini costruisce il Bosco Sacro «dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi». Nel folto dei boschi del viterbese l’architetto Pirro Ligorio realizza un unicum per l’epoca, un giardino che manifesta l’anima onirica e irrazionale del Rinascimento. E, forse anche per questo, presto precipita nell’oblio. Garavicchio, Toscana, 1996. Dopo quasi vent’anni di lavoro, l’artista Niki de Saint-Phalle, con l’aiuto del marito Jean Tinguely, termina il Giardino dei Tarocchi. Ventidue coloratissime sculture alte dai 12 ai 15 metri, alcune delle quali abitabili, rappresentano le figure degli arcani maggiori. Cinque secoli dopo in Maremma la profezia di Bomarzo si compie. Le figure giganti e surreali modellate dall’artista francese siglano il compiersi di un percorso che ha riportato il giardino all’attenzione dell’arte contemporanea. Parchi di sculture, arte con la natura, giardini di artisti... L’Italia, anche se con una fioritura tardiva rispetto a Stati Uniti ed Europa, ne è ricca. Un volume, VerDeSign. Percorsi e riflessioni fra arte e paesaggio (a cura di Marinella Mandelli e Laura Pirovano, in uscita da FrancoAngeli, euro 39), fa il punto della situazione e traccia la mappa di una rete in continua espansione. Il legame tra opera d’arte e giardino è millenario. La disposizione di una statua o di un’architettura in un parco – che fosse quello di una villa imperiale, nei parterre di un giardino all’italiana o nel romantico susseguirsi di colli e laghetti di uno all’inglese – era dettata dalla necessità di fornire allo sguardo un punto stabile e determinato nel fluire della vegetazione. Certo, nel caso di superfici di grandi dimensioni, era ed è anche un modo per garantire l’orientamento. C’è però un più sottile fascino filosofico, un gioco di contrasti che chiama in causa le ambivalenze della natura umana. La compresenza di artificiale e natura rievoca i binomi di sentimento e istinto, ragione e spontaneità. Come anche una duplicità di tempi: da una parte quello immobile dell’opera, dall’altra quello circolare della natura che ciclicamente ci appare ritornare nuova e identica a se stessa. Insomma, non si è mai dato giardino in cui l’arte non abbia avuto un ruolo. Il rapporto è continuato nel corso del Novecento. Sono fioriti i parchi in cui al posto delle tradizionali statue allegoriche e tempietti comparivano sculture moderniste e aiuole di stampo cubista. Finita l’era delle ville di delizia, sono stati i musei a farsi carico di portare le opere d’arte en plein air: il primo a dotarsi di un giardino fu il MoMA di Philip Johnson, nel 1953. Hanno una tradizione ancora più "antica" gli sculpture park. Il capostipite ha patria insospettabile: è il parco di Tirgu Jiu in Romania, nato nel 1937 per esporre alcune opere di Costantin Brancusi. In Italia è celebre il Parco di Pinocchio a Collodi, realizzato da Pietro Porcinai, il massimo architetto di giardini italiano del Novecento, con Pietro Consagra e Marco Zanuso. In ogni caso l’arte è sempre altro rispetto all’ambiente. Ma negli ultimi decenni è cambiato proprio questo aspetto: l’intervento artistico non si limita più a essere ospite del contesto naturale. L’arte da ambientata diventa ambientale.Tutto nasce con la Land Art, il movimento dai forti connotati concettuali nato negli anni 60 negli Stati Uniti, in cui gli artisti intervenivano direttamente sul paesaggio, spesso con lavori di proporzioni colossali. Un processo che porta alla sovrapposizione quadro di contesto e contenuto. Tanto che è tipico di quest’arte la transitorietà dell’opera, che condivide la mobilità della natura. L’arte ambientale parte dai presupposti della Land Art e li trasporta nella scala più ridotta del parco. Spesso utilizza (è il caso della Art with nature, arte con la natura) materiali effimeri, destinati al dissolvimento. Una delle esperienze più interessanti di questo tipo è ArteSella. Nata nel 1986, propone in un percorso tra prati e boschi della val di Sella, una laterale della trentina Valsugana, opere d’arte contemporanea realizzate esclusivamente con sassi, foglie, rami o tronchi trovati in situ. Ogni anno a primavera artisti vengono chiamati a realizzare nuove opere, molte delle quali con l’inverno sono destinate a distruggersi e tornare così alla natura. Il simbolo di ArteSella è la Cattedrale vegetale di Giuliano Mauri. Preparata nel 2001, è una sorta di chiesa gotica a tre navate formate da ottanta colonne di rami intrecciati, alte 12 metri; all’interno delle quali è stato messo a dimora un carpino. Mentre la pianta cresce al ritmo di circa 50 centimetri all’anno, nel tempo le gabbie costruite per accompagnarne lo sviluppo, anche con speciali potature, marciranno, lasciando completamente il posto ai carpini. Sempre più frequenti sono i casi di arte ambientale. Tenute e fattorie, specie nell’Italia centrale, diventano il teatro di un nuovo tipo di committenza. Mecenati commissionano ad artisti interventi in dialogo diretto con il sito, che da contenitore diventa parte integrante dell’opera stessa. Un fatto che tende ad escludere tra l’altro le dinamiche speculative del mercato: un’opera di questo tipo non ha senso né valore al di fuori del contesto per cui è stata pensata. La Fattoria di Celle, a Pistoia, è il primo caso italiano. Creata nel 1982 dal collezionista Giuliano Gori, si estende su una superficie di 42 ettari che comprende una villa barocca, un giardino all’italiana, uno all’inglese e una tenuta agricola. Settanta installazioni si confrontano con gli interni ma soprattutto con gli esterni. Gli artisti chiamati vanno da Burri a Kiefer, LeWitt, Long, Serra, Nagasawa. Due opere in particolare riprendono gli elementi classici del giardino: il labirinto e il teatro di verzura. Il primo è stato affidato a Richard Morris. Triangolare, moltiplica l’effetto di straniamento attraverso la collocazione in discesa. Il secondo, realizzato dall’americana Beverly Pepper, è dedicato a Porcinai. Un’altra importante realtà è La Marrana, a Montemarcello (La Spezia). Qui ogni anno un artista realizza interventi site specific, alcuni dei quali destinati a rimanere all’interno del giardino. Tra gli altri, hanno lavorato alla Marrana Azuma, Kosuth, Kounellis, Fabre, Spalletti.Un caso particolare è costituito infine dai giardini degli artisti. Oltre a quello di Niki de Saint-Phalle, raro esempio in cui l’opera d’arte è costituita dall’intero complesso di sculture e ambiente, si segnala il Bosco della Ragnaia, realizzato dall’americano Sheppard Craige con l’aiuto dei ragazzi di San Giovanni d’Asso (Siena), liberissima interpretazione di un giardino all’italiana. E Hic terminus aeret di Daniel Spoerri sul monte Amiata, curiosa commistione tra giardino firmato e museo personale. Ospita 87 opere di Spoerri stesso e di altri 42 artisti. Ma, dice il maestro del Nouveau Realisme, «i miei amici fanno parte di me, completano la mia immagine del mondo». Un autoritratto a più mani al profumo degli ulivi di Toscana.
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