sabato 12 gennaio 2013
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Qualche giorno fa su «Avvenire» Francesco Botturi rilevava che tra le cause dell’odierna crisi della politica si deve annoverare la globalizzazione, che a sua volta è sorretta dalle tecnologie avanzate. In un contesto mondiale dove conta soprattutto la rapidità delle decisioni, giuste o sbagliate che siano a lungo termine, risulta evidente l’inadeguatezza delle forme di governo democratiche, la cui lentezza e farraginosità le rende obsolete.
I tempi di riflessione e di discussione si accorciano fino a sparire di fronte all’incalzare degli eventi e alla concorrenza su scala mondiale. Peraltro la crisi provocata dalla globalizzazione coinvolge, più in generale, la cultura: grazie alla velocità delle comunicazioni si può considerare ormai avvenuta la formazione di una Creatura Planetaria, costituita da esseri umani integrati con le reti e i computer, al cui interno si manifesta una massiccia omologazione culturale.
Essa dipende da un incremento dei codici linguistici comuni, che facilitano la comunicazione ma deprimono l’originalità espressiva e comprimono il territorio su cui esercitare i confronti critici. Le "macchine della mente" sorreggono un sistema produttivo, commerciale e finanziario in cui l’efficienza comunicativa è privilegiata a scapito dell’eloquenza argomentativa. La tecnoscienza tende a indebolire le altre componenti culturali, tutte sottoposte al vaglio inesorabile dell’utile se non del profitto immediato.
Nel panorama globalizzato le differenze interculturali sono eliminate, solo alcune sopravvivono nella forma fossilizzata dei reperti museali o nell’impostura dell’intrattenimento turistico. Ovunque nel mondo gli stessi aeroporti, gli stessi grattacieli, gli stessi cibi, lo stesso abbigliamento.
È vero: per reazione si formano animose pattuglie di buongustai in cerca di tradizioni culinarie e di verdura a chilometro zero, ma sono reazioni che confermano la tendenza generale. I cellulari e le reti consentono qualche iniezione di originalità linguistica, che peraltro resta confinata entro gruppi più o meno ristretti, spesso corrispondenti alle diverse fasce d’età. Come in Italia la Tv ha sacrificato l’apporto di libertà-creatività dei dialetti alle esigenze comunicative su scala nazionale, così, grazie a Internet, l’inglese sta operando un analogo processo di assoggettamento delle altre lingue su scala mondiale. Ciò senza ignorare i possibili effetti negativi della segregazione: in un ambito troppo ristretto la cultura non sopravvive.
Quello tra uniformazione e originalità, tra codici condivisi e linguaggi privati, è insomma un equilibrio dinamico difficile da condizionare dall’alto, e solo la storia s’incarica di definirlo di volta in volta. Resta il fatto che, a causa della globalizzazione, la cultura è soggetta a una perdita nefasta di varietà. Alleandosi con il profitto, la monocultura potrebbe via via eliminare le alternative e spegnere l’inventiva e l’originalità che non fossero asservite al mercato: non per nulla si parla di operatori culturali, di mercato dell’arte o di industria del turismo. Il mercato diverrebbe così il vero e unico motore dell’innovazione, ma sarebbe un’innovazione diretta solo all’utile e al profitto: un impoverimento doloroso. Dov’è finita la gratuità del bello e dell’inutile?
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