martedì 26 luglio 2016
Il caso serio della tecnica
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Da gran tempo sperimentiamo i guasti prodotti dall’ideologia dell’homo oeconomicus, guidato dalla spinta dell’interesse individuale e della massima utilità per se stesso. È l’uomo che si esprime nel tempio idolatrico della finanza, la quale rappresenta insieme alla tecnica il fondamentale vettore di dominio globale. Crescente è il numero delle vittime della globalizzazione, di coloro che introdotti nel grande processo planetario non ce la fanno a stare a galla e vengono espulsi. Qualcosa di analogo accade con l’homo technicus che non è solo l’essere umano che usa bene o male delle tecnologie disponibili, ma - e questo conta ben di più - che è considerato da diverse concezioni come un essere che è ridotto alla tecnica e che si esprime solo tramite essa. Taluni addirittura sostengono che l’intera tradizione occidentale abbia compreso l’essere umano solo come produttore e inventore di tecniche.  Conosciamo la richiesta che viene elevata dovunque per contrastare le derive dell’economicismo finanziario e del tecnicismo: dateci un’etica all’altezza della situazione, capace di porre un argine alle due massime «potenze senza etica» appena citate, e che dominano. Domanda legittima e anzi necessaria che sale dalle coscienze incerte e offese, ma che non è risolutiva. L’etica da sola non è a misura di quella dismisura che sono l’avidità della finanza globale e la volontà di potenza della tecnica. Per venire a capo della loro forza occorre aggiungere all’etica un’adeguata conoscenza dell’uomo: qui la situazione è ancora più seria che nel campo morale, poiché la conoscenza dell’uomo è oggi un bene scarsissimo. Pia esagerazione? Non vi è una miriade di scienze naturali e umane che indagano e quasi assediano da ogni lato l’essere umano? Non è questi soggetto ad un’obiettivazione molteplice che offre risultati utili in tanti campi (cibernetica, scienze cognitive, genetica), ma che scompone l’essere umano, analizzandolo da un solo punto di vista? Uno splendido brano di Pascal, vergato oltre 350 anni fa, offre una prospettiva da meditare: «Avevo trascorso gran tempo nello studio delle scienze astratte, ma la scarsa comunicazione che vi si può avere con gli uomini me ne aveva disgustato. Quando cominciai lo studio dell’uomo, capii che quelle scienze astratte non si addicono all’uomo, e che mi sviavo di più dalla mia condizione con l’approfondirne lo studio, che gli altri con l’ignorarle. Ho perdonato agli altri di saperne poco, ma credevo almeno di trovare molti compagni nello studio dell’uomo. Sbagliavo: son meno ancora di quelli che studiano le matematiche». Su un piano quantitativo l’asserto di Pascal, comparato con la situazione attuale, sembra del tutto stonato: innumerevoli sono le scienze che si occupano dell’uomo e che lo saggiano da ogni lato, eppure rimane vero che l’uomo rimane uno sconosciuto: L’uomo, questo sconosciuto è il titolo di un noto libro di Alexis Carrel (1935). L’uomo è un mistero molto più grande di quello della natura, e dobbiamo esserne consapevoli tutte le volte che tramite scienze e tecnologie ci rivolgiamo a lui. Il discernimento da esercitare sulla tecnica dipende dal fatto che essa è costitutivamente ambigua e impiegabile per il meglio e per il peggio. Un semplice sguardo ci avverte delle grandi possibilità di bene e di male che le tecniche mettono nelle nostre mani: internet può essere impiegato per comunicare come per seminare odio. Per operare il discernimento necessario la strada giusta è di non ridurre l’uomo a essere tecnico, a un elaboratore della natura e di se stesso che non sporge dal circolo della produzione. In tal caso alta è la possibilità di «deviazione della mentalità tecnica dal suo originario alveo umanistico » ( Caritas in veritate, n. 71), perché l’uomo sarebbe ridotto a faber. Le ideologie della potenza che hanno infierito nel XX secolo, cambiano volto con lo scorrere del tempo ma non mutano nel fondo e sono ancora con noi: non vi sono più nazismo e comunismo ma la musica di fondo non è molto mutata. L’homo technicus si allontana velocemente dall’homo sapiens poiché dimentica di esser parte di un ordine più alto di quello della tecnica e dell’incessante trasformazione del mondo; rischia di dimenticare la relazione con l’altro, di fondarsi sul dominio delle cose e non sul dialogo e comunicazione interpersonali. L’ideologia della tecnica pensa l’essere umano come totalmente risolto nel circolo della materia: materialismo e naturalismo rappresentano largamente i presupposti antropologici di non poche ricerche. Se l’uomo è nient’altro che materia animata, che valore può avere ai propri occhi? L’esito non sarà una grande demoralizzazione umanistica? Ed è questo che serpeggia in tanti soggetti: divenire privi di valore e insignificanti a se stessi e per gli altri. Come l’uomo non può vivere di solo pane, neanche di sola tecnica. Le Chiese cristiane conoscono il pericolo di affidare l’intero processo dello sviluppo alla tecnica: sia lecito esprimere l’auspicio che continuino nel cammino mettendo a tema, più attentamente di quanto abbiano fatto finora, la rivoluzione antropologica provocata dalle tecnologie della vita: esse incidono sull’essere umano, sulla coscienza di sé, sull’idea di vita, filiazione e famiglia più di quanto incidano altri fattori.
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