sabato 2 febbraio 2019
Dieci minuti di applausi per "Simon Boccanegra" che ha aperto la stagione con il debutto di Salsi. Segno di riscatto del teatro a dieci anni dalla riapertura dopo l'incendio che lo aveva devastato
Una scena di "Simon Boccanegra" al Teatro Petruzzelli di Bari (foto Fascicolo/Petruzzelli)

Una scena di "Simon Boccanegra" al Teatro Petruzzelli di Bari (foto Fascicolo/Petruzzelli)

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Non c’erano peluche alla prima di Simon Boccanegra che ha inaugurato la stagione lirica al Teatro Petruzzelli di Bari. Ed era immaginabile. Eppure, qualche giorno prima, la platea si era riempita di orsacchiotti di pezza, portati da decine di bambini di tre e quattro anni, per l’esordio dei “Family concert” 2019, i concerti sinfonici a misura di famiglie (e quindi anche dei più piccoli). «Ero un po’ preoccupato – racconta il sovrintendente e direttore artistico Massimo Biscardi –. Invece è andato tutto per il meglio». Così come è stata una marcia trionfale la nuova produzione del capolavoro di Verdi, salutata alla fine con dieci minuti di applausi. Mancava a Bari dal 1990, ossia dall’anno precedente all’incendio che aveva devastato il teatro e che ne aveva decretato la chiusura per oltre 18 anni. Adesso l’opera «triste», come l’ha definita il suo autore, celebra il decennale della riapertura. E soprattutto la rinascita del Petruzzelli “ritrovato”: dopo il rogo, dopo il rischio del tracollo economico, dopo lo scandalo tangenti. Così il grido di pace che si leva dal melodramma verdiano diventa il medesimo che pervade il principale teatro lirico della Puglia.

Pubblico delle grandi occasioni per la serata d’apertura con l’atteso debutto di Luca Salsi nel ruolo del corsaro e doge di Genova. Una perla che ha portato a Bari anche un drappello di loggionisti della Scala e che può essere considerata un test per il baritono parmense in vista del Festival di Salisburgo della prossima estate dove vestirà gli stessi panni. La prova di Salsi nel Simon barese (in replica fino a mercoledì) è più che positiva, anche se rispetto ad altre sue eccellenti interpretazioni (come quella di Gérard in Andrea Chénier alla Scala il 7 dicembre 2017) manca di pathos. Un ruolo da rodare, insomma, per far emergere il tormento saggio – biblico verrebbe da dire – di Boccanegra. Ma al Petruzzelli vale ascoltarlo anche solo per quel sussurrato «Figlia» dopo aver abbracciato la sua Maria-Amelia o il commovente «Piangi» detto al nobile Fiesco o ancora «Gran Dio, li benedici» con cui acconsente alle nozze fra Amelia e Gabriele.

Accanto al doge che supplica «pace» e «amore» oltre le vendette, le sommosse, le guerre, il rivale Fiesco è il brillante Roberto Scandiuzzi che, seppur non esente da lievi imperfezioni, si cala con trasporto nel personaggio. Inizio da dimenticare per l’Amelia di Liana Aleksanyan che poi prende quota ma fino a un certo punto: Verdi vuole una voce a tutto tondo che talvolta non c’è. Timbro interessante per Gianfranco Montresor, un energico Paolo Albiani che ogni tanto pecca di potenza. Invece non può bastare la buona aria «Sento avvampar nell’anima» per Giuseppe Gipali (Gabriele Adorno) che fa troppa fatica durante lo spettacolo.

Felice sorpresa l’ottimo suono che esce dalla buca dell’orchestra ben preparata e diretta da Jordi Bernàcer che sceglie un approccio intimistico, evitando giustamente effetti bandistici. C’è un rischio: l’assenza di colori. Che infatti non sempre si percepiscono. Discutibile la regia dell’eclettico Arnaud Bernard: fra passerelle mobili, ingranaggi, palazzi che salgono e scendono di fronte a un tramonto sul mare, prevale la staticità a cominciare da quella dei protagonisti. Immobili per lo più, compreso Simone ancorato al trono. L’unico guizzo è la comparsa di Amelia bambina che apre e chiude la rappresentazione: all’inizio, a scena muta prima che cominci la musica, mentre saluta Boccanegra che le dona una nave di carta; al termine quando torna accanto al corpo senza vita del padre.

«Ero tentato di proporre la prima versione dell’opera – confida il sovrintendente Massimo Biscardi – ma è stato più oculato mettere in scena la versione definitiva che è poi la più nota agli spettatori. Perché la maggiore sfida è quella di avere un pubblico che ami il nostro teatro». Allora ecco i nove titoli lirici in cartellone quest’anno: La voix humaine di Poulenc mai presentata a Bari (e abbinata con Cavalleria rusticana di Mascagni) a Valchiria di Wagner, fino ad arrivare a La Bohème, nuova produzione che conclude la stagione. «Lo scorso dicembre – spiega il sovrintendente – abbiamo terminato con una nuova Traviata; nel 2019 toccherà al celebre titolo di Puccini. Entrambi gli allestimenti sono firmati da Hugo De Ana». Fra i registi che si alterneranno sul palco Daniele Abbado, Emma Dante o Pier Luigi Pizzi. «Sono artisti con differenti visioni teatrali. E questo consente di attualizzare le composizioni più amate», afferma Biscardi. Poi è nata una singolare collaborazione con l’Helikon Opera di Mosca che porterà in Puglia Eugenij Onegin di Cajkovskij. «È l’inizio di un progetto che sfocerà in una tournée della nostra Fondazione a Mosca e che ci permetterà di avere nel 2020 La dama di picche». Già in agenda fra un anno anche una nuova trasferta in Giappone con undici repliche di Aida.

Intanto nel 2019 sono previste 199 alzate di sipario, fra opere, balletti, venti concerti ed eventi per ragazzi e famiglie. Erano state 73 nel 2013. E il 2018 si è chiuso con 149mila spettatori entrati in teatro (erano 64mila cinque anni prima) e con 34mila bambini dai 3 ai 14 anni che hanno assistito a una rappresentazione. Perché il Petruzzelli ha un occhio di riguardo per il «pubblico di domani», come lo chiama Biscardi. Ai “Family concert” si aggiungono le prove aperte (e ridotte a un’ora circa) per le scuole e soprattutto una nuova opera per ragazzi che ogni anno la Fondazione commissiona. In primavera esordirà Ciao Pinocchio composta da Paolo Arcà.

E anche i conti tornano in regola. Passo dopo passo. «Gli ultimi quattro bilanci – chiarisce Biscardi – sono stati in pareggio. Non abbiamo debiti, a parte quelli legati al piano di risanamento. E anche le cause di lavoro, un autentico cappio al collo, si stanno concludendo: erano 400 nel 2014, adesso sono 17». Tuttavia l’apertura della stagione è stata segnata dalle polemiche per il congedo forzato di quattro maestri d’orchestra. «Non sono veri e propri licenziamenti – sostiene il sovrintendente –. Assieme con altri tredici ex dipendenti, hanno potuto usufruire della cassa integrazione in deroga offerta dalla Regione. Adesso attendiamo un provvedimento governativo che la proroghi. Con i sindacati è stato raggiunto un accordo che però i quattro non hanno accettato. Si tratta purtroppo di personale che non siamo in grado di reinserire in organico. Ma non intendiamo lasciare nessuno per strada».

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