giovedì 14 giugno 2018
Dopo 19 anni di chiusura la musica torna nel teatro dove debuttò anche «L’elisir d’amore». Fra le impalcature il primo concerto aperto alla città con i temuti melomani del Piermarini
L'interno del Teatro Lirico a Milano in restauro

L'interno del Teatro Lirico a Milano in restauro

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Le impalcature, i muri grezzi, i sacchi di cemento negli angoli non ne intaccano il fascino. E, mentre gli operai entrano ed escono dal Teatro Lirico, lo sguardo si alza verso lo stemma dorato di Milano appena tornato a risplendere e verso la volta bianca ricamata di nuovo con gli stucchi. Poi gli occhi si chiudono e la mente va a Gaetano Donizetti che fra queste mura aveva visto debuttare nel 1832 uno dei suoi più famosi capolavori, L’elisir d’amore, quando ancora il teatro era chiamato “della Cannobiana”. Oppure va a Francesco Cilea che qui aveva assistito alla prima del suo dramma crepuscolare Adriana Lecouvreur. Era il 1902. La storia dell’opera è passata anche da via Larga, da questo palcoscenico che per adesso non c’è, da questa buca dell’orchestra che al momento è spoglia, da questa platea che attualmente non ha file, dalle gallerie e dai palchi ancora prigionieri di tubi d’acciaio. Almeno così appare il Lirico oggi. Un cantiere che annuncia una rinascita quasi alle porte.

Entro la fine del 2018 i lavori di restauro voluti dal Comune si dovrebbero concludere: con un anno e mezzo di ritardo e un costo di quasi dieci milioni di euro. Ma non occorrerà attendere il prossimo inverno perché la musica e l’opera tornino al Lirico. No, nella serata di venerdì 22 giugno, alle ore 21, la “Scala del popolo” che dal 1999 è rimasta chiusa e senza partiture sui leggii vivrà una sorta di preambolo del suo imminente domani: un concerto di pre-apertura. O meglio, la prova acustica aperta alla città. Però non saranno né Donizetti, né Cilea, né Salieri – le cui composizioni inaugurano il teatro nel 1779 – a riconsegnarlo (o quasi) ai milanesi. Toccherà a Gioachino Rossini nell’anno del 150° della morte. E uno scherzo del destino ha voluto che il Lirico risorga unendosi idealmente al suo fratello “maggiore”, il Teatro alla Scala. Entrambi progettati da Giuseppe Piermarini. Ecco, il primo concerto dopo quasi vent’anni di silenzio vedrà sul palco sessanta melomani del coro degli “Amici del loggione”. In realtà non saliranno sul palcoscenico che ancora non ha neppure le assi, ma sulle impalcature che svettano dal proscenio al soffitto. Sulla testa i caschi di protezione; addosso le pettorine arancioni. Identico dress code avranno i venticinque maestri dell’orchestra e i cinque solisti. «Per chi come noi è un divoratore di opere – spiega il direttore del coro, Filippo Dadone, con una laurea in ingegneria – l’assenza del Lirico per due decenni è una ferita aperta. Perciò ci sentiamo onorati di poter far risuonare una musica nobile in questo amato teatro».

L’iniziativa rientra nella scommessa di “Cantiere-evento”, il percorso che intende donare alla città il teatro ancora in mano agli operai, a due passi dal Duomo e dalla Torre Velasca. Un esperimento lanciato dalla fondazione Gianfranco Dioguardi che organizza il concerto con il Comune, l’Ordine degli ingegneri della provincia di Milano, la Mm (Metropolitana milanese) e l’impresa Garibaldi impegnata nella risistemazione. In sala un pubblico di 150 appassionati e vip. Fra gli invitati il neo ministro dei beni culturali Alberto Bonisoli, il governatore Attilio Fontana e il sindaco Giuseppe Sala.

«L’appuntamento – chiarisce il direttore artistico di “Cantiere-evento”, Francesco Maggiore – coincide con la liberazione della platea dai ponteggi». E le note che si alzeranno dalla buca saranno registrate dagli apparecchi del Politecnico per lo studio acustico. «Forse siamo un po’ incoscienti – sorride Maggiore –. Ma il Lirico con il suo mondo sommerso di chi lavora per il recupero ha spalancato le porte già a settembre ospitando una sfilata di moda di Antonio Marras». Lo stesso stilista a cui si deve la decorazione del telone che imbriglia la facciata. Poi è stata la volta delle scuole, dei rappresentanti dei municipi, degli studenti-fotografi della Naba, di artisti disposti a mettersi in gioco fra i calcinacci.

Il foyer è già pronto. Ripulito il mosaico all’ingresso. Lucidati i marmi. Ripristinata la pavimentazione. «Il consolidamento strutturale è terminato», fa sapere Maggiore. Però gran parte del complesso è ancora dominato dai ponteggi. Sulle coperture i titoli delle canzoni dell’ultimo album di Giorgio Gaber a cui il Lirico è intitolato e che qui era di casa. Come lo erano i testi di Bertolt Brecht o l’operetta. In fondo una parte della storia di Milano ha avuto come cornice anche questo tempio laico, compreso l’ultimo comizio di Mussolini nel dicembre 1944. Aggiunge il direttore artistico: «Il Lirico rivivrà con le sue parti nobili originali, dalle decorazioni ai tendaggi». Durante il concerto potremmo solo immaginarle. O al massimo andarle a scovarle in qualche foto d’epoca. Prima di rivederle finalmente dal vivo fra qualche mese.


L'omaggio a Rossini con il coro degli “Amici del loggione”


Hanno lasciato il loggione della Scala e sono saliti sul palcoscenico. Non quello del Piermarini di cui sono i più fedeli frequentatori ma anche i più temuti censori, bensì di un altro teatro milanese altrettanto noto: il Dal Verme. I loggionisti sanno bene che la musica supera i confini. E loro hanno deciso di abbattere quello fra palco e pubblico mettendosi in gioco con un coro. Il coro degli intransigenti e dei fischiatori del più celebre “santuario” della lirica nel mondo. Un coro assemblato dagli “Amici del loggione”, l’associazione che riunisce mille melomani delle gallerie della Scala e che l’ha fatto nascere 36 anni fa.

Il concerto degli “Amici del loggione” che viene proposto al Teatro Lirico venerdì 22 giugno è una sintesi di quello andato in scena al Teatro Dal Verme a fine maggio di fronte a 1.300 spettatori. Un omaggio a Gioachino Rossini nell’anno in cui ricorre il 150° della morte. Con ottanta fra i più fedeli frequentatori della Scala che si sono esibiti assieme a un'orchestra di trentacinque professionisti. E il risultato dopo due ore e mezzo di musica è stato una felice sorpresa: per la qualità, lo slancio, l’amalgama. È, sì, un coro amatoriale quello dei loggionisti ma con un approccio professionale dettato dalla passione per la lirica. Che è andato a braccetto con mesi di prove – e si percepisce bene nel concerto – e con quell’incontro fra generazioni che caratterizza la musica. Perché del gruppo vocale fanno parte giovani di trent’anni e pensionati di oltre ottanta. A imprimere un tocco da grandeur è stato il direttore del coro, Filippo Dadone, cui va il merito di aver tradotto in canto l’amore per il canto dei melomani del Piermarini. Come dimostra l’ottimo Stabat Mater del 1841 che, con una selezione, ha aperto il concerto, reso dal coro con una singolare precisione e un dolente trasporto. Del resto il programma ha unito il Rossini “sacro” con quello operistico: non però dei titoli buffi ma drammatici. Significativa, pertanto, la scelta di proporre due brani (Kyrie e Agnus Dei) dell’impegnativa e magnifica Petite Messe Solennelle del 1863, scritta dal maestro marchigiano cinque anni prima della sua morte.

Gli “Amici del loggione” hanno poi valorizzato la produzione talvolta dimenticata del genio di Pesaro. Ecco quindi il Mosè in Egitto con il Coro delle tenebre, l’Invocazione e il quintetto con concertato o Elisabetta Regina d’Inghilterra con «Quant’è grato all’alma mia», entrambi proposti con vibrante partecipazione. Oppure l’incantevole inizio della Donna del lago con il «Del dì la messaggera», particolarmente complesso. Nel cartellone anche Aureliano in Palmira e L’assedio di Corinto. La conclusione non poteva che coincidere con il celebre finale del Guillaume Tell e il famoso grido «Liberté, liberté». Un momento di palpitante intensità che ha suggellato l’esibizione.

Assieme al coro alcune giovani voci che i loggionisti hanno giustamente inteso portare sulla ribalta: i soprani Renata Campanella, Elisa Maffi, Eliana Sanna, il mezzosoprano Nunzia Menna (impegnata anche come insegnante per gli “Amici del loggione”), i tenori Rino Matafù, Emanuele Bono, il baritono Daniele Caputo e il basso Kiok Park. A spiccare sono stati soprattutto Renata Campanella con il suo timbro squillante, seppur da modulare con più attenzione, il fervido baritono Caputo e il coinvolgente basso coreano Park.



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