giovedì 3 febbraio 2022
Al teatro Carlo Felice Luca Micheletti e la moglie Elisa Balbo protagonisti di un insolito dittico d'opera lirica: “La serva padrona” e “Trouble in Tahiti”
Luca Micheletti e Elisa Balbo in “Trouble in Tahiti”

Luca Micheletti e Elisa Balbo in “Trouble in Tahiti” - Teatro Carlo Felice di Genova

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Sono una coppia nella vita. E adesso anche sul palcoscenico del teatro Carlo Felice di Genova. Per cantare le storie di due coppie. Luca Micheletti e la moglie Elisa Balbo sono i protagonisti di due gemme della lirica che a duecento anni di distanza raccontano vicende d’amore simili ma dagli opposti destini: “La serva padrona” che si conclude con un lieto fine, ossia con il matrimonio strappato da Serpina al suo signore; e “Trouble in Tahiti” dai toni dolceamari, incentrato sull’ipocrisia di una convivenza che comunque resiste. La prima è il celebre intermezzo di Giovanni Battista Pergolesi che segna la nascita dell’opera buffa nel Settecento. La seconda è un «musical» di 45 minuti ambientato in una città americana senza nome, come annota nella partitura il suo autore: Leonard Bernstein.

Luca Micheletti e Elisa Balbo in “La serva padrona”

Luca Micheletti e Elisa Balbo in “La serva padrona” - Teatro Carlo Felice di Genova

«Un dittico che è una sorta di viaggio nel tempo e che affianca coppie lontane oltre due secoli ma vicine nello spirito», spiega Micheletti che dell’abbinamento non è soltanto l’ideatore assieme alla moglie ma anche il regista. I due atti unici (e uniti) vanno in scena fino a domenica 6 febbraio nel principale teatro del capoluogo ligure che con il soprintendente Claudio Orazi – attento alle sperimentazioni e al patrimonio musicale da riscoprire – ha accolto il progetto artistico. Sul podio Alessandro Cadario. «Può sembrare un azzardo abbinare Pergolesi e Bernstein. In realtà il lavoro del compositore statunitense è un omaggio al genere dell’intermezzo sia per scelte vocali, sia per la forma breve, sia perché è scandito da sette scene come sono sette i numeri musicali della “Serva padrona”. Tutto ciò ci fa capire come il capolavoro di Pergolesi debba essere fatto conoscere e rappresenti una pietra miliare nella storia della musica», afferma Micheletti.

Una scena di “Trouble in Tahiti”

Una scena di “Trouble in Tahiti” - Teatro Carlo Felice di Genova

Bresciano, 36 anni, è stato prima un attore “globe-trotter”, poi è approdato alla regia senza però lasciarsi alle spalle le esperienze precedenti e quindi si è scoperto baritono (fino a debuttare lo scorso giugno alla Scala nelle “Nozze di Figaro”). Al Carlo Felice ha già conquistato il pubblico poche settimane fa con il suo nuovo allestimento della “Vedova allegra”. Se il gioco in musica di Pergolesi viene risulto dall’astuzia di una donna che «da serva diventa padrona», nel lavoro d’impronta americana i protagonisti sono prigionieri dell’infelicità e di una crisi che intreccia vuoto spirituale, perbenismo, machismo.

Una scena di “La serva padrona”

Una scena di “La serva padrona” - Teatro Carlo Felice di Genova

A far andare a braccetto sotto i riflettori genovesi i due titoli “mignon” è il teatro che sale sul palcoscenico. «Entrambi gli atti – spiega il regista – restano ancorati al proprio tempo. Nella “Serva padrona” è esplicito il rimando alla Commedia dell’arte: Uberto è un Pantalone di rosso vestito; Serpina un mix fra Arlecchino e Colombina». Poi quando si alza il sipario su “Trouble in Tahiti” avviene la traduzione novecentesca di quanto visto nella prima parte. «La luce delle candele viene sostituita da quella dei neon; ma il businessman Sam ha ancora una maschera di Pantalone; e Dinha nel suo essere una casalinga disperata diventa la servetta dei tempi moderni che tenta di mettere a posto le cose come Serpina». Il dittico è figlio del lockdown e della necessità di proporre spettacoli con un numero ridotto di interpreti: qui al massimo in scena ci sono cinque cantanti. «Si tratta di partiture dove i confini vocali sono molto labili – conclude Micheletti –. Ad esempio, Bernstein non immaginava il suo lavoro per un cast operistico e aveva stabilito che le voci venissero amplificate: cosa che abbiamo assecondato ma con cautela».

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