mercoledì 22 maggio 2019
Delude al Festival il tanto atteso “C’era una volta a… Hollywood” del cineasta americano che si è raccomandato alla stampa: «Non svelate la storia»
Leonardo DiCaprio in una scena del film “C’era una volta a... Hollywood” del regista americano Quentin Tarantino

Leonardo DiCaprio in una scena del film “C’era una volta a... Hollywood” del regista americano Quentin Tarantino

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Era senza alcun dubbio il film più atteso di Cannes, anche quando il direttore del festival aveva annunciato che il film non sarebbe stato pronto per la Croisette. E invece C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino è riuscito ad arrivare in tempo per partecipare al concorso e per vederlo giornalisti e addetti ai lavori hanno atteso in coda per oltre due ore l’apertura dei cancelli della sala dove è stato presentato in anteprima mondiale. Ma se la lunga attesa ha fatto lievitare le aspettative nei confronti di un regista divenuto di culto che nel 1994 vinceva la Palma d’oro con Pulp Fiction e che a Cannes ci è tornato anche con Kill Bill vol.2 nel 2004, quando è stato presidente di giuria, Grindhouse - A prova di morte nel 2007 e Bastardi senza gloria nel 2009, la delusione è stata cocente, sottolineata da brevi applausi alla fine di una proiezione durata due ore e quaranta minuti. Mentre quelli sul red carpet sono stati decisamente più consistenti. Non è facile parlare di C’era una volta a… Hollywood perché lo stesso Tarantino ha chiesto ufficialmente ai giornalisti, attraverso una lettera letta ai festivalieri anche prima della proiezione e lanciando l’hashtag #NoSpoilersInHollywood, di non svelare troppo della storia, per non rovinare la sorpresa a chi il film lo vedrà solo più avanti. In Italia sarà il prossimo 19 settembre distribuito da Warner.

Ambientato nella Los Angeles del 1969, il nuovo lungometraggio del regista e sceneggiatore premio Oscar, il nono per l’esattezza, segue le vicende dell’attore televisivo Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) e della sua storica controfigura Cliff Booth (Brad Pitt), che cercano di farsi strada in una Hollywood che ormai non riconoscono più e nella quale non si sentono più a casa. Giunta ormai la fine dell’epoca d’oro, la cosiddetta Nuova Hollywood, fucina di giovani talenti formatisi con il cinema d’autore europeo, preme alle porte: gli eroi non saranno mai più quelli di una volta, i cowboy avranno capelli lunghi come gli hippie tanto odiati da Rick e gli spaghetti western diventeranno un fenomeno di culto, per tutti tranne che per il protagonista. Rick Dalton infatti non ne vuole sapere di quei cambiamenti, né di andare in Italia a girare con Antonio Margheriti e Sergio Corbucci, mentre Cliff Booth finisce per caso nella comunità di Charles, ovvero Charles Manson, accusato di essere mandante di uno degli eccidi più celebri della storia degli Stati Uniti, quello della modella e attrice Sharon Tate (interpretata nel film da Margot Robbie), all’epoca in attesa di un figlio da Roman Polanski (Rafal Zawierucha), assassinata nella sua casa di Los Angeles insieme a un gruppo di amici. La breve visita dello stunt ci consente di infiltrarci in quella setta dedicata all’esoterismo e alla magia nera. Ed è proprio intorno all’omicidio della Tate che ruota il film, tragedia annunciata dalle date che avvicinano lo spettatore al fatidico 9 agosto 1969.

Come dicevamo, non possiamo rivelare troppo, ma se avete visto Bastardi senza gloria saprete forse che a Tarantino piace mescolare le carte in tavola, raccontare altre storie possibili, diverse da quelle ufficiali, decisamente più gradite agli spettatori. Ma i limiti del film stanno proprio nel fatto che tutto è costruito per condurci all’ultima mezz’ora del film, come se solo quella avesse davvero un senso per il regista, mentre nelle restanti due ore assistiamo a un estenuante tributo di Tarantino al cinema che lo ha spinto dietro la macchina da presa, ovvero i we- stern all’italiana e i b-movie. Il regista gira molte e lunghissime scene in cui vediamo DiCaprio interpretare prima un leggendario tutore della legge, poi un villain con i baffi, capace persino di prendere in ostaggio una bambina, segno dei tempi che cambiano, e con essi il cinema. In quella sequenza Tarantino dimostra tutto il suo amore per il genere senza troppo curarsi dello spettatore che invece comincia a smarrirsi tra omaggi e ammiccamenti cinefili al cinema del cuore e alla Hollywood che fu, quella dell’infanzia del regista, quando i party in piscina erano frequentati da attori del calibro di Steve McQueen. L’impressione dunque è che l’idea intorno alla quale germogliano gli ultimi trenta minuti del film abbia divorato tutto il resto, trasformato in un prologo decisamente prolisso e ridondante.

Certo, spesso si ride, Tarantino riesce a divertire e a non prendersi sul serio anche quando orchestra scene splatter ai limiti del guardabile, ma nel complesso C’era una volta a… Hollywood finisce per essere un’opera decisamente inconcludente. E non si può non chiedersi se sia lecito affrontare in questo modo un fatto di sangue così scioccante per l’America e per una serie di persone che ancora ne portano le ferite. In scena però c’è un cast davvero stellare di cui fanno parte, oltre agli attori già citati, anche Al Pacino, Kurt Russell, Emile Hirsch, Tim Roth, James Marsden, Luke Perry (recentemente scomparso), e Dakota Fanning la quale, va sottolineato, è la sorella maggiore di Elle, quest’anno a Cannes in veste di giurata.

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