sabato 30 settembre 2017
Il compositore cinese riceverà a Venezia il Leone d’oro per la Biennale Musica: «Dovremmo avere una gamba nella tradizione e una lanciata avanti, per smuovere la storia, le persone e le menti»
Il musicista Tan Dun, nato nel 1957 nell’Hunan, Leone d’oro alla carriera per la Biennale Musica di Venezia

Il musicista Tan Dun, nato nel 1957 nell’Hunan, Leone d’oro alla carriera per la Biennale Musica di Venezia

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Natura o artificiale? Tradizione o tecnologia? Colto o popolare? Dove siamo abituati a vedere rette parallele Tan Dun intuisce una perfetta fusione oltre l’orizzonte. «La musica di Tan Dun, che coniuga la tradizione sciamanica cinese con l’avanguardia occidentale, rappresenta un caso di grande interesse nel panorama contemporaneo », è la motivazione con cui stasera il musicista, nato nel 1957 nell’Hunan, riceverà a Venezia il Leone d’oro alla carriera per la Biennale Musica. Tan Dun ha modellato un linguaggio sofisticato che mescola (senza confonderle) musica classica cinese e occidentale, fa suonare i cellulari e scrive per percussioni fatte d’acqua, carta e ceramica. È autore di partiture complesse, a partire dalla Water Passion after St. Matthew, scritta nel 2000 per il 250° della morte di Bach. Ma ha vinto un premio Oscar per la colonna sonora di La tigre e il dragone e ha scritto le musiche per le Olimpiadi di Pechino, mentre Google gli ha commissionato una sinfonia per celebrare la fusione con YouTube, eseguita da un’orchestra creata con audizioni online. Forse è normale per un artista che da ragazzo, durante la Rivoluzione culturale, viene messo a lavorare nelle risaie per scoraggiarlo dal fare musica, e alla fine degli anni 80 a New York trova il sostegno di John Cage.

Lei sperimenta in prima persona le spinte della globalizzazione e l’espansione delle tecnologie. Cosa significano per lei parole come “tradizione” e “identità”?

«Penso che questo sia un periodo di grandi rivoluzioni. Oggi la scienza e la tecnologia ci costringono a ridefinire noi stessi. Per esempio le nuove teorie sulla nascita e l’espansione dell’universo ci obbligano a ripensare cosa siano la tradizione, la religione, il nostro stesso futuro. Sembra che tradizione e identità vadano sempre più nel segno della scienza e della tecnologia. Ma se guardiamo al passato, possiamo osservare che le arti si sono sempre sviluppate insieme alla scienza».

Che peso hanno nel suo lavoro lo spirituale, il sacro e il religioso?

«Negli ultimi duecento anni abbiamo sempre più sincronizzato il nostro credo con la natura. Penso che ora sempre più persone credano nella natura più che in altro. E guardando alla natura stiamo sviluppando l’essere umano, la cultura, la scienza e la tecnologia. Le antiche religioni cinesi e il taoismo da questo punto di vista sono molto interessanti. Come musicista sono fortemente interessato ai suoni della natura: e in questo la cultura orientale mi offre molte più risorse. La “musica organica” [l’uso di materiali naturali per produrre suoni, ndr] riguarda sia la quotidianità che il cuore. Queste idee trovano la loro origine nella concezione animistica che gli oggetti materiali abbiano al loro interno degli spiriti, un’idea sempre presente nel vecchio villaggio dove sono cresciuto, in Cina. Inoltre per me comporre è come meditare. Non è una cosa diversa dall'andare in un tempio o in una chiesa. Quando compongo devo chiudere ogni contatto con l'esterno, ogni forma di comunicazione per settimane. Entro in una dimensione spirituale che coinvolge il mio stesso corpo, è un fatto quasi scetico. Così ho fatto negli ultimi mesi, mi sono "rinchiuso" come un monaco della musica per scrivere la mia nuova composizione: una Buddha passion, un'idea nata anni fa dopo avere concluso la Water passion».

È un aspetto che si riflette sulla sua visual music, in cui interseca la musica con architettura, arti visive e performative?

«Penso che stiamo entrando in una nuova era in cui il visuale e il suono si compenetrano per mezzo dell’elemento scientifico. A volte possiamo sentire il colore, altre vedere il suono. Questo significa un cambiamento non solo dal punto di vista psicologico o scientifico ma una vera svolta culturale, specialmente per gli artisti, che ora possono dare forma a colore e suono. Ecco perché per la mia musica a volte parlo di visual musico di visual sound. Non è qualcosa che voglio raggiungere artificialmente, ma mi deriva dalla natura, dalla scienza, dalla religione, dallo zen. Così si sigilla ogni distanza tra visuale e suono».

Recentemente lei ha dato vita al progetto “Symphonic Rock” in cui combina un’orchestra sinfonica con rock band provenienti da tutto il territorio dello Stato cinese. Come è nato e perché?

«È una questione spirituale. Nel passato tutti i compositori classici avevano uno spirito “rock’n roll”. Tutti, da Bach a Beethoven a Berio, avevano uno spirito rivoluzionario, ossia sfidare la società, parlare alla società, condividere con la società. Poi la classica ha dimenticato la ragione stessa della musica: partecipare alla vita delle persone, non solo sentirsi parte di un museo o di una storia di stili. Il “Symphonic Rock” è il tentativo di portare i giovani a partecipare e godere della musica classica ma anche portare la musica classica a partecipare e godere di nuovo dello spirito del rock’n roll. Noi come musicisti classici dovremmo avere due gambe: una piantata nella tradizione e nel museo, e l’altra invece fuori dal museo, per camminare avanti e dare un calcio alla storia, alle persone, alle menti: e muovere così l’intero mondo».

Cosa è “contemporaneità” in musica?

«Penso che la mia musica sia contemporanea perché ha che fare con le persone ora, adesso. Onestamente, penso che gran parte della musica scritta dai compositori contemporanei non sia affatto contemporanea. Sono ancora bloccati negli anni 70 o addirittura 60: io penso che l’attitudine della musica classica dovrebbe essere verso un vero spirito contemporaneo. Per trovarlo deve guardare ai giovani: sono lori lo specchio della contemporaneità. Ma c’è ancora paura nei confronti del pubblico. All’epoca Brahms o Verdi erano “popolari”. Non so spiegarmi perché oggi i musicisti classici e i compositori sono così impauriti dall’abbracciare un pubblico di massa. Non possiamo separarci. La musica classica appartiene a ogni pubblico. E questo è “rock”. Oggi non importa se fai jazz, pop, musica da film o world music: devi sempre imparare la musica classica, perché la musica classica è il motore di ogni musica. Come compositori contemporanei dobbiamo esserne coscienti e per questo dobbiamo rendere la musica classica attraente per ogni pubblico».

Secret of wind and birds, il brano che eseguirà stasera con l’Orchestra della Rai di Torino, si basa sulla forma della passacaglia. Perché questa scelta?

«La passacaglia è una forma antica di composizione in cui sopra un elemento fisso, una linea di basso ripetuta, ogni volta si presenta una variazione. Qui l’elemento fisso è il canto degli uccelli, suonato con strumenti cinesi e riprodotto dagli smartphone del pubblico. Simbolicamente e filosoficamente, gli uccelli e quindi la natura consentono un numero illimitato di variazioni. Tutto il mondo, tutti gli esseri umani sono una passacaglia. E il basso è la natura».

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