giovedì 8 maggio 2014
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Susanna Tamaro proprio non se l’aspettava. Che il Salone del Libro scegliesse il bene come motivo conduttore. E che la prolusione della giornata inaugurale (oggi alle 15.30 presso la Sala Gialla del Lingotto) fosse affidata a lei, la scrittrice perseguitata dalla fama di “buonista”. «Parola per me indecifrabile – dice –. Non ho mai capito se voglia indicare uno che fa finta di essere buono per guadagnarsi più simpatia, e magari più lettori, oppure se sotto sotto ci sia l’idea che il bene non esiste, è un’illusione, un inganno».Lei come si considera, invece?«Una persona che attraversa le tenebre alla ricerca della luce. A me sembrava evidente che il percorso di Va’ dove ti porta il cuore fosse questo. Ma il clima era, e in parte continua a essere, ostile a una visione del genere. Me ne resi conto non appena feci leggere il manoscritto a un’amica che lavorava in editoria».Il responso?«Mi consigliò di mettere il libro in un cassetto e non pensarci più. Mi avrebbe rovinato la carriera, aggiunse».E come mai?«Perché conteneva una tesi “fascista”, testuali parole. Ossia che l’amore richiede forza. È l’esperienza di chiunque abbia vissuto una relazione autentica, ma nel contesto di allora evocare la forza era qualcosa di sconveniente».Anche il bene ha bisogno di forza?«Una forza sorretta da saggezza. Non ne faccio una questione di principio, tanto meno di appartenenza religiosa. La mia è una semplice osservazione etologica. Dimentichiamo troppo spesso che noi uomini siamo anche materia, oltre che spirito, e che la materia ha le sue regole, caratteristiche che non possono essere trascurate. La mentalità corrente vorrebbe farci credere che siamo imenotteri, insetti che, come le api, possono tutt’al più collaborare anonimamente a un alveare di cui ignorano il progetto. Niente di più falso. Noi siamo scimmie, grandi scimmie con l’anima».Guardi che qui la fraintendono un’altra volta.«Tanto ormai sono abituata. Dal 1994, l’anno in cui uscì Va’ dove ti porta il cuore, non ho fatto altro che difendermi dalle obiezioni più insensate, nelle quali mancava un minimo di ragionamento su che cos’è la vita, su quali sono le durezze e le bellezze della nostra esistenza».Grandi scimmie, dicevamo.«Ha mai visto un documentario sui bonobo, per esempio? Il branco ha rituali di convivialità ben codificati, che svolgono una precisa funzione educativa. Quando arrivano a un’età corrispondente alla nostra adolescenza, i più giovani iniziano a provocare gli adulti in tutti i modi, lanciando pietruzze, facendo piccoli dispetti. Per un po’ vengono sopportati, ma a un certo punto interviene la correzione, anche brusca. A meno che la provocazione non provenga da una scimmietta segnata da qualche difficoltà. Gli adulti, in quel caso, cambiano atteggiamento. Non intervengono, lasciano fare. Si dimostrano molto più avveduti di noi umani».Addirittura.«Addirittura, sì. Ormai in materia educativa il sociologismo impera e il buonsenso non ha più corso. Ma il buonsenso non è superato, è l’etica che la nostra specie ha sedimentato in millenni di evoluzione».Ora le daranno della darwinista.«No, qui non si parla di sopravvivenza del più adatto. Una delle conquiste più affascinanti dell’etologia recente sta proprio nell’aver individuato il ruolo fondamentale che l’empatia svolge nel processo evolutivo. I cambiamenti avvengono sulla base non di ciò che è più conveniente per me, ma di ciò che va a vantaggio del maggior numero dei miei simili. Il risultato è che il germe del bene diventa sempre più visibile, sempre più necessario e condiviso».Il bene, quindi, non è una norma imposta dall’esterno.«Tutt’altro, sta dentro di noi, va solo riconosciuto e coltivato. Quelo che ci rende diversi dalle grandi scimmie è un’inquietudine insopprimibile, che trova espressione attraverso le parole. Delle quali, però, è meglio non abusare».In che senso?«Mi capita spesso di vedere giovani madri che imbastiscono ragionamenti di mezz’ora per convincere i bambini a fare o non fare qualcosa. Ma per educare non servono discorsi elaborati, occorrono invece comportamenti convincenti. Il famoso buon esempio, ormai bistrattato come e peggio del buonsenso. Sono i sintomi di un’ignavia educativa che, dal mio punto di vista, è il più terribile tra i mali del nostro temp».Adesso, anche al Salone, il bene viene rivalutato: non è un progresso? «Abbiamo sperimentato un lungo esilio del bene, è vero, ma questa fase sembra avviarsi alla conclusione. Basta pensare a che cosa sta succedendo con papa Francesco: solo qualche anno fa, nel 2008, a Benedetto XVI fu impedito di parlare alla Sapienza, oggi Bergoglio è ascoltato, rispettato, ammirato. Forse perché in molti, ormai, si sono resi conto che il livello di guardia è stato superato. Ha notato quanti casi di infanticidio, ultimamente? Gli animali non uccidono mai i loro piccoli. Quando questo accade, è il segno che la specie ha rinunciato a lottare e si sta avviando all’estinzione. Noi, però, siamo ancora in tempo».
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