La prossima volta toccherà alle api. «Mi sto appassionando alla loro struttura sociale – racconta Susanna Tamaro – e non escludo di scrivere sull’argomento. Sì, lo so, c’è già un grande classico,
La vita delle api del premio Nobel Maurice Maeterlinck. Ma è un libro di oltre un secolo fa, oggi conosciamo molto meglio quello che accade in un alveare». La prossima volta le api, dunque. Adesso invece tocca alla raganella che la stessa autrice ha disegnato per la copertina di
Un cuore pensante (Bompiani, pagine 224, euro 14,00, in libreria da domani). Il titolo viene da Etty Hillesum ed è lo stesso della rubrica che Susanna Tamaro ha tenuto sulla prima pagina di “Avvenire” tra l’ottobre e il dicembre dello scorso anno. «Sono partita da quei testi, rielaborandoli e ampliandoli – spiega –. Per un ansiosa come me l’appuntamento quotidiano costituiva un impegno molto preoccupante. Così mi ero portata avanti, preparando l’intera serie con mesi di anticipo. Non pensavo di farne un libro ma poi, rileggendo, mi sono resa conto di un filo che correva da una riflessione e l’altra. Insomma, il nucleo del libro c’era, andava solo modificato qua e là».
In queste pagine parla molto di sé, della sua infanzia... «E dei pericoli ai quali, sinceramente, credo di essere scampata. Ero, per capirci, il tipo di bambina che a carnevale avrebbe preferito travestirsi da lupo anziché da Cappuccetto Rosso. Ecco, se l’immagina una situazione del genere al giorno d’oggi? Mi avrebbero portato di corsa dallo psicologo, mi avrebbero consegnata agli specialisti. Avevo ragione io, invece».
E perché? «Perché Cappuccetto Rosso è la vittima predestinata, mentre il lupo è l’energia della natura, in tutta la sua bellezza e ambiguità. C’è la violenza, certo, ma c’è anche l’energia che impedisce di farsi sopraffare dagli eventi. Nel mio caso, per esempio, ho dovuto imparare molto presto a difendermi da quello che, nel linguaggio attuale, verrebbe definito bullismo. Conoscere la natura mi ha aiutato a cavarmela, ma mi ha anche permesso di non idealizzare mai la natura stessa».
Scusi, ma parlarne con uno psicologo che male le avrebbe fatto? «Il problema non è lo psicologo, sia chiaro, ma il fatto che i genitori, le famiglie non sappiano più portare il peso dell’educazione. Alla prima difficoltà ci si affretta a cercare lo specialista di turno, come se la personalità di un bambino o di una bambina non fosse in costante evoluzione. Ci si concentra sulla manifestazione di un momento e, in questo modo, la si cristallizza, la si ingigantisce, ci si infila in una strettoia che non lascia scampo. Si rifiuta, in una parola, la complessità della persona».
Persona, non individuo. «Sì, è una distinzione alla quale tengo molto. Una persona cresce, matura, è aperta al cambiamento. L’individuo, al contrario, rimane fermo nelle sue pretese, vuole sempre tutto per sé e per sé soltanto. Lo si capisce meglio al plurale: due persone si sposano ed elaborano un progetto comune, due individui si mettono insieme, almeno finché dura».
In “Un cuore pensante” lei rivela anche episodi molto personali, come la morte di suo padre. «Più che altro parlo del suo funerale, celebrato in forma religiosa per mia decisione. Non si professava cristiano, ma in uno dei nostri ultimi incontri mi aveva confessato che gli capitava spesso di pensare a Gesù. Gli veniva da piangere, diceva, a immaginare una solitudine tanto assoluta. Dopo la sua morte ho voluto interpretare quelle lacrime, che mi rivelavano un padre inerme, tanto diverso da quello conosciuto fino a quel momento. Non credo di essermi sbagliata».
Che cosa ha rappresentato per lei la conversione? «Che cosa continua a rappresentare, semmai. Sa, sono sempre rimasta perplessa davanti al racconto di san Paolo: la caduta da cavallo, l’illuminazione improvvisa. Tutto immediato, come se la fede fosse un pacco che ti viene consegnato per posta. Per me è un processo che continua, giorno dopo giorno, e che dà corpo al mio desiderio di essere cristiana. La fede, in questo senso, non è rinuncia, ma una forma di ribellione, un modo più libero e appassionato di vivere la vita. Un andare per il mondo, non il rifugiarsi in una tana. Tutto il resto è moralismo, è l’atteggiamento pauroso di chi cerca di difendersi da una realtà, anche spirituale, che gli rimane estranea».
Sono i temi del pontificato di Francesco. «Papa Bergoglio non smette di colpirmi molto e devo confessare di avere grandi aspettative rispetto all’enciclica, ormai imminente, sulla custodia del Creato. Mi pare che sia l’occasione per rimediare, finalmente, alla frattura tra natura e trascendenza, che tanti guasti ha provocato in passato. Non possiamo più illuderci di salvarci fuori dalla natura, perché la natura è dentro di noi, le apparteniamo tanto quanto essa appartiene a noi. Si tratta di una verità universale, che può ulteriormente arricchire il dialogo tra credenti e non credenti. E poi ci sono i bambini, la nostra speranza. Ogni volta che vedo un bambino incantarsi davanti allo spettacolo della natura mi rendo conto che l’ultima parola non è ancora detta. Finché esiste la meraviglia l’uomo ce la può fare, nonostante tutto».