venerdì 10 luglio 2020
La prima retrospettiva sul pittore senese che rinnovò il lascito di Simone e Ambrogio. Ricostruita nelle parti superstiti la sua opera più importante, frutto della committenza francescana
Taddeo di Bartolo: un lato del Polittico bifronte realizzato per San Francesco al Prato a Perugia

Taddeo di Bartolo: un lato del Polittico bifronte realizzato per San Francesco al Prato a Perugia - -

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Ci sono alcune “anomalie” nella mostra che Perugia dedica a Taddeo di Bartolo – vissuto e morto a Siena (1422) all’età di 60 anni non compiuti –, che vanno subito dette e spiegate. Anzitutto, cosa a suo modo clamorosa, si deve rilevare che questa mostra, curata dalla maggior studiosa del pittore, l’americana Gail E. Solberg che da molto tempo vive in Italia, rappresenta la prima mostra retrospettiva su un notevolissimo pittore e affrescatore. Come sia accaduto non è facile da spiegare, sopratutto in un paese che all’arte senese medioevale e rinascimentale ha dedicato negli ultimi due decenni più di una rassegna – nel 2015, per il semestre di Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, con le opere della Pinacoteca Nazionale di Siena si tenne a Bruxelles e a Rouen una mostra su questa pittura tra XII e XV secolo. Resta insomma un fatto abbastanza incomprensibile questa lacuna su Taddeo. Ma se si guarda proprio il catalogo delle sessanta opere presenti nella mostra del 2015, viene da pensare che per gli studiosi questo pittore sia una figura poco amata: grande sì, ma non come Duccio, Ambrogio Lorenzetti o Simone Martini, forse nemmeno come Sano di Pietro, e più tardi Francesco di Giorgio Martini, perché le quattro opere che erano esposte, pur notevoli, in particolare il magnetico ritratto del San Pietro Martire( ora anche a Perugia), sembrano dichiarare una sorta di indecisione nel giudizio. Adesso rimedia la studiosa americana, che ci offre non solo la prima mostra monografica, ma anche un catalogo (Silvana) che, con l’apporto di altri studiosi, rappresenta il più importante libro di studio, in attesa che, fra un anno circa pare, la Solberg dia alle stampe una corposa opera in due volumi su Taddeo che, ahimè, uscirà solo in inglese (ed è facile intuire che con questi chiari di luna non ci sarà la corsa a farla tradurre).

La seconda domanda che mi sono posto, e che ho rivolto anche ai funzionari perugini, riguarda la sede della mostra. Come mai un pittore così radicato nella sua terra, che ha avuto Simone come un riferimento iniziale per la sua formazione – anche se, com’è giusto che sia, ha poi viaggiato in Toscana e in Liguria, ed è tornato a Siena trentasettenne, nel 1399, quando la città cade sotto l’egida di Gian Galeazzo Visconti, Signore di Milano, che la governerà fino alla morte nel 1402 –, perché non è stato celebrato nella sua città d’origine? Bella domanda. Che, come spesso accade, ha una risposta semplice. Anzi tre. Prima: La Galleria Nazionale dell’Umbria possiede la maggior parte delle tavole che compongono l’eptittico (cioè a sette scomparti verticali) bifronte che Taddeo realizzò per San Francesco al Prato di Perugia, opera che viene considerata la più prestigiosa del pittore. Seconda: la curatrice della rassegna da anni lavorava sulle opere perugine (12 elementi principali su 14 dell’eptittico, che ritraggono santi a figura intera, una delle cuspidi e altre due tavole, tra cui la bella Pentecoste), e ha trovato la disponibilità del Museo a prendere in considerazione un progetto ancor più importante: ripercorrete tutto Taddeo in attesa che esca la sua monumentale monografia. Perugia, insomma, è il Museo che possiede il maggior numero di pezzi di Taddeo e lì ha studiato a lungo la Solberg. Terzo, ma non ultimo: i soldi. Con due anni di lavoro si sono messi insieme professionalità, piste di studio e reperimento dei finanziamenti. Il risultato, dopo i proverbiali tre mesi di chiusura causa Covid, lo vediamo adesso in tutta la sua bellezza nella cinquantina di opere esposte. Avremmo potuto obiettare che dopo la mostra su Duccio del 2004 e quella su Ambrogio Lorenzetti del 2017, e considerando la documentazione in loco di arte senese, quale migliore occasione di fare Taddeo nella “città della Vergine”, come titolava un bel libro di Titus Burckhardt, nipote di Jacob, nel 1958?

Invece, dobbiamo ringraziare la Solberg e Perugia per la loro iniziativa (che nessuno altrimenti avrebbe preso a breve). Tolti i legittimi dubbi cominciamo col dire che il bel allestimento riproduce lo schema spaziale di una chiesa, una di quelle dove venivano collocate le opere dell’artista; ugualmente, in analoghe “cappelle laterali” sono distribuiti i vari momenti dell’itinerario espositivo: dagli esordi, ai viaggi, al rientro a Siena, alle narrazioni, le invenzioni e altri interventi come la scultura della Madonna del Magnificat, per esempio, un pregevole legno dipinto, attribuita a Giovanni di Turino o a Francesco di Valdambrino, che ha nella parte pittorica l’intervento di Taddeo e del suo socio Gregorio di Cecco. L’anomalia si spiega perché la scultura era un “innesto” dell’elemento tridimensionale in una pala collocata sull’Altare Marescotti nella chiesa di Sant’Agostino a Siena: questa soluzione mista rappresentò per Taddeo una sfida, anche se non era la prima volta che affrontava simili imprese. Lo stato di allerta imposto a tutta Europa dal virus che ancora ci assedia, ha inferto un vulnus alla mostra privandola delle opere francesi: quelle di Avignone, una Crocefissione che risente ancora di moduli arcaici ma già rivela la tensione a creare momenti narrativi con lo svenimento della vergine, ma soprattutto con le figure della parte opposta, e in ogni caso seguendo la tradizione religiosa; e l’altra Crocifissione, dal Louvre, che mostra san Francesco ai piedi della croce, vero centro dell’immagine che ha convinto il pittore a decentrare un po’ il Suppliziato; sempre da Avignone manca l’Annunciata, che pare sia stata la cuspide centrale di un polittico, e, come si nota nella scheda in catalogo, dovrebbe giocare lo stesso ruolo di quella del Polittico che proviene da Montepulciano. Altre opere provenienti da Bergen, Budapest, Altenburg, Copenaghen e da altre città italiane sono regolarmente arrivate. Ma la parte fondamentale che attesta, come indica il titolo della sezione, il “trionfo” di Taddeo, è appunto il Polittico della Galleria Nazionale, che con ogni probabilità è da collocare verso il 1403. Taddeo aveva quarantacinque anni, una fama ormai stabile, a Siena e fuori.

L’opera ha una impostazione bifronte (come, secondo Sandro Parronchi, il Polittico di Gand, naturalmente ben diverso in stile e linguaggio) e fino a metà del Novecento si credeva che fosse montato in maniera “scatolare”: «singolare ricostruzione – scrive la Solberg –, senza confronti nell’arte del tempo» e conclude: studiando la parte retrostante delle tavole «ci rendemmo conto che i pannelli erano un tempo congiunti a formare le due facce di un dipinto a sette scomparti». Nella scheda dell’opera, frutto di vari apporti analitici, e nel testo della Solberg in catalogo viene dedicata all’opera nelle sue valenze tecniche e architettoniche e pittoriche, tutta l’attenzione necessaria (basti dire che il polittico aveva sette cuspidi dipinte su entrambi i lati, che oggi sono mancanti: non dirò perdute perché si spera sempre che una ricompaia prima o poi). Ugualmente mancanti sono molte parti della predella e della pseudo–predella con le storie francescane. E cuspidi, pinnacoli, pilastrini o pilieri su cui erano agganciate altre componenti, in qualche caso dipinte. Da quanto scrive Vasari si capisce che già a metà del Cinquecento alcune parti erano state smontate, nonostante nel 1509 i frati avessero manifestato al Papa, venuto a celebrare Messa, che erano affezionati al Polittico e intendevano tenerlo. In alcune cose che Taddeo ha dipinto la mancanza di tradizioni iconografiche lo spinse a inventare, per esempio proprio nelle storie di san Francesco dove prese a modelli gli affreschi di Giotto ad Assisi e il ciclo di Taddeo Gaddi a Santa Croce a Firenze. Cito una osservazione in merito della Solberg che sottolinea la novità di certe soluzioni: «Basti osservare certi particolari stupendamente evocativi come il prete in fuga nella Prova del fuoco, l’uomo che si disseta alla fonte, il dialogo tra il Papa e Francesco nell’Approvazione della Regola, e Francesco che a Greccio porta il bambino verso l’altare e verso il suo Polittico». Resta da notare che probabilmente il presepio di san Francesco era una culla vuota dove figuravano a corredo solo bue e asino, ma questo dice anche quanto abbia pesato la committenza e le verità trascritte nel “piano iconografico” di questo importante documento dell’iconografia francescana, che viene per la prima volta ricostruito in tutte le parti finora riconosciute.

Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria

Taddeo di Bartolo

Fino al 30 agosto

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