domenica 27 ottobre 2013
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​«Non vi faccio una predica. Vi invito al piacere di vivere. Quello che nessuno può strapparvi». Oppure: «Vi invito a essere presenti in ogni istante della vita quotidiana. Ma questo non si decide. È necessaria una fatica e un totale rivolgimento dell’anima». Con parole umili e accenti vibranti, lo scrittore Jean Sulivan amava lanciare simili esortazioni, anche nella rubrica "Parola del passante", cara ai lettori della rivista cattolica francese Panorama. Prima della scomparsa del sacerdote bretone, giunta nel 1980, fu pure questo piccolo presidio mediatico a orientare tanti verso i sentieri d’altura dell’opera letteraria di Sulivan. Spesso disagevoli e scoscesi, cosparsi di cespugli spinosi, ma pure luminosi e carichi di quel gusto di credere, sperare ed esistere che l’autore cercò di trasmettere fino all’ultimo.

Su Sulivan, non sono stati fatti, né tentati, bilanci letterari. E anche in questo 2013 che segna in Francia il centenario della nascita (nacque il 30 ottobre 1913 non lontano da Rennes, con il nome d’anagrafe Joseph Lemarchand), gli incontri che rievocano lo scrittore si guardano bene dall’abbozzare una sintesi critica o dal classificare Sulivan nella bacheca del Novecento letterario. Significherebbe non aver compreso molto di quella "gioia errante" che diede il titolo a una delle fatiche più note del prete scrittore, esprimendo al contempo lo stile di una vita in continuo movimento, fra rivolgimenti interiori, viaggi in Oriente e nel Mediterraneo, letture e riletture della Bibbia, così come dei filosofi moderni, a cominciare non a caso dal più scomodo di tutti per un credente, Nietzsche.

Le opere di Sulivan, una trentina fra saggi e romanzi, furono pubblicate nell’arco serrato e agitato degli anni Sessanta e Settanta. In esse, lo scrivere e leggere, o il leggere e scrivere, mirano a confluire in una sola "letteratura vissuta", un unico soffio spirituale a più voci: «La lettura, nella sua funzione più alta perché più umana, è sempre l’incontro di due parole: la parola fissata dalla scrittura e la parola interiore del lettore. Se questo incontro non si produce, la comprensione è solo nozionistica. Sicché scrivere è estrarre dal più profondo di sé una parola affinché essa possa mescolarsi alla corrente incessante delle parole interiori altrui. Ci sono pochi lettori, poiché la maggioranza rifiuta quest’ingresso e resta in superficie. Dato che c’è pericolo che la vita si muova. Del resto, da tanto tempo molti hanno murato per sempre i pozzi degli abissi. Che riposino in pace». Frasi ruvide e fulgide come una scarpinata su quelle Alpi che per Sulivan, alla stregua dell’India, furono teatro di ricerche perigliose ma felici (la prima opera, pubblicata a 45 anni, s’intitolò Le voyage intérieur, Il viaggio interiore. Frasi, pure, dove riecheggia il clima contestatario dell’epoca e la visione critica della società di un altro consacrato fuori dalle righe come Michel de Certeau, che di Sulivan fu amico. La passione per le due ruote valse allo scrittore due incidenti e l’esperienza del coma. Nella biografia, figura pure un periodo di lavoro in fabbrica, dopo gli anni come cappellano di giovani in Bretagna. Gli stessi del centro culturale intitolato "Resistenza spirituale": quasi un programma per il resto della vita.

Allergico ai compromessi e alle autorità, ma impermeabile pure a quanti cercarono di spezzare la storia della Chiesa in tronconi inconciliabili, Sulivan pagò la propria erraticità e sete di autenticità con un certo isolamento. Ma fu in fondo anche una solitudine ricercata, alla luce di quel simbolo del deserto che compare spesso nelle opere dello scrittore. Le quali, con la loro radicalità e libertà, sembrano rivolte ancor oggi pure a quanti, fra i cristiani, rischiano di barattare la ricerca di assoluto con etichette stereotipate quali "tradizionalismo" e "progressismo". E invece, ricorda Sulivan, non bisogna mai rinunciare a scavare sotto e dietro le apparenze, così come a lasciarsi trasportare dallo Spirito. Del resto, quel nome scelto per scrivere, Jean, non è estraneo alla viscerale passione di Sulivan per il Vangelo di Giovanni e il suo invito a fare i conti con il mondo. Fra le rare opere giunte in Italia, figurano il romanzo Ma c’è il mare (Città armoniosa), il saggio Verità selvaggia (Gribaudi) e l’antologia Una parola che può risvegliarti (Paoline). Ma dalla Francia, quanti intendono ravvivare il ricordo dello scrittore esprimono una convinzione: prima o poi, Sulivan verrà riconosciuto come un "precursore". 

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