domenica 18 gennaio 2009
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«Molti dicono di ispirarsi a lui, anche se magari non hanno mai letto un suo libro. Io oggi, per la verità, di eredi di Sturzo in giro ne vedo pochissimi» . Scuote la testa – con il suo sorriso tra il burbero e il bonario – Gabriele De Rosa, classe 1917, massimo biografo del fondatore del Ppi e indiscusso "patriarca" degli studi sul movimento cattolico in Italia. «Sturzo – spiega De Rosa in questo colloquio – è stato il protagonista di una stagione politica, quella dell’ingresso a pieno titolo dei cattolici italiani nella vita democratica del Paese; stagione che resta unica e irripetibile» . Ma, secondo il professore, mettere i giusti paletti storici per evitare «mistificazioni» non significa affatto che – a distanza di 90 anni dal famoso appello "Ai liberi e forti" – «la lezione di Sturzo, che oggi è patrimonio dell’intera nazione, sia diventata vecchia». Dalla sua vita, segnata dalla persecuzione, dall’esilio e dall’incomprensione, dalle sue opere, dal suo insegnamento «ci vengono infatti ancora tanti elementi attualissimi, capaci di indicare una direzione, di fornire una bussola alla politica di oggi, smarrita, povera di idee e di ideali, autoreferenziale». Secondo De Rosa sono due, in particolare, gli insegnamenti sturziani che il mondo politico di oggi – cattolico e non – dovrebbe meditare e fare propri: « Prima di tutto lo strettissimo, ineludibile legame tra politica e morale; e questo non solo sul piano della difesa dei valori cristiani, di libertà e democratici, ma anche come rifiuto di ogni forma moderna di machiavellismo». Secondo, «la capacità straordinaria di tradurre i valori in proposte programmatiche concrete, capaci di parlare a tutti gli uomini ' liberi e forti', indipendentemente dalla propria fede religiosa». Politica e morale al primo posto, dunque. De Rosa si mostra preoccupato del «forte calo di tensione etica che sembra attraversare le classi dirigenti del nostro Paese: personalismi, leggi su misura, corruzione, clientelismo, difesa degli interessi particolari, carrierismo. Sturzo ci ha insegnato ad amare e rispettare le istituzioni democratiche, i loro compiti, le loro funzioni; e anche a prendere atto dei loro limiti. Questo è un monito costante per i politici di oggi che a volte tendono a servirsi dello Stato più che a servirlo o, anche, a dilatarne a dismisura il ruolo, invadendo campi impropri». Il pensiero del professore corre a più di mezzo secolo fa, quando ebbe « l’onore e il privilegio, grazie all’intercessione di don Giuseppe De Luca, di conoscere don Sturzo, di frequentarlo e di raccogliere le sue memorie». Poco prima di morire, ricorda ancora con commozione, Sturzo lo fece chiamare. «Mi disse: ricordati che tutto ciò che ci siamo detti, tutto ciò che ti ho raccontato, non è né per me né per la mia gloria». Una lezione di «umiltà ma ancor di più di spirito di servizio». E poi, come secondo elemento, la modernità di Sturzo, la sua capacità di leggere «i segni dei tempi» e di portare sul terreno concreto delle proposte i valori di cui era pervaso. «Se si leggono i 12 punti programmatici del 1919 – spiega il professore – si rimane davvero sorpresi per la lucidità, il tempismo e il realismo di quelle proposte. Il primo punto è la difesa della famiglia; il secondo la libertà di insegnamento unita alla lotta contro l’analfabetismo e alla diffusione dell’istruzione professionale. Al terzo il riconoscimento delle organizzazioni sindacali, al quarto la legislazione sociale e per il lavoro, con la richiesta di assicurazioni per la malattia, la vecchiaia e persino per la disoccupazione… Poi il Mezzogiorno, l’autonomia degli enti locali e il decentramento amministrativo, la riforma della burocrazia, la giustizia tributaria con base progressiva ed esenzione per i redditi minimi, la riforma elettorale con il voto alle donne e la proporzionale. Infine un ordine internazionale basato su un organismo sovranazionale, capace di regolare i conflitti, e sul disarmo universale… Quanti temi di questi sono ancora oggi all’ordine del giorno? Fa riflettere il fatto che la difesa della libertà della Chiesa Sturzo l’aveva posta solo all’ottavo punto, attirandosi le critiche di padre Gemelli e di altri, che avrebbero voluto un partito alle dirette dipendenze del Vaticano». E «ancora poco note» sono la cura e l’attenzione che il sacerdote siciliano, nella sua esperienza amministrativa, mise al servizio della natura e del territorio, facendone quasi un ambientalista ante- litteram: «Ricordo – dice De Rosa – il suo deciso intervento a Caltagirone per la difesa dei sughereti del bosco di Santo Pietro, uno dei più grandi d’Italia, insidiato dalla mafia dei caprai» . Come la sua profetica visione europeista, «di un’Europa senza confini fisici, fiera del suo passato e della sua cultura, senza serrature, ma naturalmente aperta al dialogo con i Paesi arabi del Mediterraneo e con il mondo dei Balcani e dell’Est». A don Sturzo e al Ppi De Rosa – che ha guidato per decenni l’Istituto dedicato al sacerdote siciliano, facendone un centro di eccellenza nella ricerca storica e sociologica – ha dedicato gran parte dei suoi libri e della sua vita di studioso e professore. «Ma tra i tanti episodi che potrei citare – racconta – ce n’è uno che mi ha profondamente colpito. Era il 1999 e alla Lumsa avevano conferito la laurea honoris causa all’allora cardinale Joseph Ratzinger. Dopo la cerimonia, mi venne presentato il cardinale che, informato che io ero il presidente dell’Istituto Sturzo, mi disse: "Sturzo ha sofferto molto a causa della Chiesa, ma beato quel Paese che ha avuto figure come Luigi Sturzo"».
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