lunedì 1 aprile 2013
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«Chi mi porta a giocare a bocce? Oh bella questa... Piglio la mia macchina, così quando si finisce la partita, che di solito vinco pure, mi fermo al ristorante a mangiare con chi mi garba...». È la filosofia di vita di Rino Nencini, classe di ferro 1921, parente di quel Gastone Nencini asso del ciclismo (vinse il Giro d’Italia del ’57 e il Tour de France del ’60), mentre lui, Rino, alla veneranda età di 92 anni è un campione di bocce, l’uomo simbolo dell’Unione Sportiva Affrico di Firenze. Di sicuro il più longevo dei giocatori ancora in "campo", «ma attenzione, perchè in giro per l’Italia abbiamo parecchi centenari che non fanno tornei, ma si divertono ancora con le bocce come il Nencini», interviene al "volo" il presidente del Comitato Toscano della Fib (Federazione italiana bocce) Giancarlo Gosti. Del resto stiamo parlando di uno sport che è antico quanto l’uomo. «Gli uomini delle caverne oltre a correre, è appurato che praticassero il lancio delle pietre contro gli animali», continua Gosti. Già ma quel lancio, antesignano del più moderno accosto o del volo, serviva all’uomo primitivo per la sopravvivenza. I tratti preistorici del gioco comunque sono emersi fin nel 7000 avanti Cristo. «Rotolamento di sfere su terreno accidentato», è la scoperta archeologica fatta nella città neolitica di Catal Huyuk, in Turchia. Le bocce molto prima del calcio erano una "fede", un rituale ludico-religioso come quello raffigurato tra le divinità pagane nei graffiti e i geroglifici dell’Antico Egitto. A Cesare e ai suoi legionari romani, l’onere e l’onore di diffondere il gioco nell’Impero con annesse sfide forsennate contro i seguaci di Asterix, i Galli. Primo accosto, con pietra sferica o piatta che doveva avvicinarsi il più possibile a un punto fisso quando ancora non si parlava di pallino. Quello, il pallino, riaffiorò comunque a Pompei, dove nell’area archeologica, poi denominata "bocciodromo", è stato rinvenuto assieme a un "moderno" set di 8 bocce.
Nel medioevo, in tutta Europa già imperversava la "bocciomania", al punto che i sovrani cominciarono a preoccuparsi in quanto le truppe si trastullavano alla bocciata invece di addestrarsi ed essere pronte ad assaltare il nemico. Per questo, da Carlo IV d’Inghilterra a Carlo V detto il Saggio, re di Francia, il gioco delle bocce venne messo al bando. E ci volle tutto l’acume dell’umanesimo per riabilitarlo, rispolverando la filosofia scientifica di Ippocrate, secondo il quale le bocce «hanno scopo salutistico». La certificazione medica fu stilata dai dottori del circolo di Montpellier che lo consigliavano per curare i reumatismi, mentre il Gargantua di Rabelais bocciava "per digerire". Quasi un elogio della follia per Erasmo da Rotterdam, che lo definì entusiasta: "Ludus globorum missilium". E visto che per i monarchi e i governanti del passato era da considerarsi un’eresia, Martin Lutero non perse l’occasione per diventare un accanito sostenitore delle bocce, e con lui anche Calvino. In Inghilterra sir Drake era un patito e Shakespeare inserisce il gioco nel Riccardo II. Ma il suo Mercante di Venezia non avrebbe potuto provare il gusto della sfida per via del divieto emesso dai Dogi. Ultimo atto di censura per le amabili sfere che nel ’600 avevano invaso le aie delle campagne e divenute l’hobby preferito delle genti di città, specie a Londra e a Parigi. Nei viali alberati della Ville Lumiere si tenevano i tornei di "boules verdes", da cui il nome dei caratteristici boulevards. A Luigi XVIII però non piacevano quegli affollamenti nel centro parigino dietro alle "bocce verdi" e le proibì. Ma quelle ormai erano assurte alla vera vox populi. Una voce rumorosa, che da noi si udiva festante dalle colline del Piemonte al mare della Liguria (prime due scuole riconosciute), arrivando fino a piazza Navona e le strade romane del Belli che nella poesia l’Aducazzione (l’Educazione) ammonisce la mejo gioventù: "Quanno giuchi un bucale a mora, o a boccia/ Bevi fijo; e a sta gente buggiarona / Nun gnene fà restà manco una goccia...". Boccia a boccia, il passatempo assunse sempre più le sembianze di "Sport", con tanto di regolamento esplicato già nell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert e successivamente, nel 1753, nel trattato il Gioco delle Bocchie, opera del teorico biscazziere (ideò la Bestia) Raffaele Bisteghi.
Darsi alle bocce significa da sempre stare in gruppo, ritrovarsi per fare "Cricca". Quella torinese, l’1 maggio del 1873, divenne la prima consorteria ufficiale a darsi statuto e dignità di Bocciofila. E le bocciofile (oggi sono circa 2.300 quelle sparse per lo Stivale) furono i primi veri centri sociali assolutamente laici, sorte spontaneamente sia in oratorio che nelle case del popolo. Bocciofili di tutto il mondo uniti dalla "passione", parola d’ordine degli adepti di questa disciplina praticata su scala universale, ma che ancora attende il riconoscimento olimpico. E pensare che già alle Olimpiadi di Parigi del 1924 fu inserita come "disciplina dimostrativa" e per l’occasione a fronteggiarsi furono gli italiani maestri e inventori della Raffa, contro i francesi ideologi indefessi de la Pétanque. Lo stile differente in parte divide i nostri campanili da quelli transalpini, ma pionieri italici e francesi oltre ad aver esportato le bocce in Africa e giù fino alla Terra del Fuoco, si ritrovano accomunati dall’evasione da "dopolavorismo" e dallo spirito di socializzazione garantito da ogni bocciofila. Luogo questo di evasione poetica per Giosuè Carducci e di "comizio sportivo" per il leader del partito socialista, Pietro Nenni. Partigiano in ogni senso, anche delle bocce, è stato il presidente della Repubblica Sandro Pertini e dal loro pulpito il gioco venne benedetto dai pontefici Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Ma chi di noi almeno una volta non ha sperimentato il gusto della "giocata"? Quella serie di colpi in gara, sinonimo di incontro e di confronto tra persone, spesso sconosciute tra di loro, che in spiaggia, come su un campo dalle sponde di legno in montagna, si ritrovano a parlare la stessa lingua: l’idioma del bocciofilo. Uno scambio alla pari, amichevole, in cui anche quando si arriva al vertice si rimane comunque dilettanti nell’animo. «Si gioca per diletto, per puro piacere», spiega Gosti di ritorno dal suo tour settimanale dalle bocciofile toscane. Ultime oasi di una provincia sana in cui, da programma federale, si assiste a scene da libro Cuore: «Nonno e nipote che giocano assieme, con il nonno che lancia il pallino e poi racconta la sua storia di vita alle nuove generazioni». Perché la passione per le bocce comincia fin dai banchi delle scuole elementari e come insegna Nencini e i suoi "fratelli over 90" «non esiste un tempo per smettere». La bocciofila è assolutamente democratica «tutti possono giocare», cooperativistica e perfino anarchica quando a Milano si ostina a "giocare di traverso". «Queste case di ringhiera sono nate quasi cento anni fa e allora chi le acquistò pretese che vi fosse una bocciofila per giocare alla "milanese": bocciare solo di traverso», racconta Donato l’oste della Cooperativa di via del Progresso. Ecco, il progresso continua ad avanzare, ma lo fa assieme al gioco più antico, le bocce.
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