giovedì 26 gennaio 2017
All’Istituto Sturzo esperti a confronto su Chiesa e società nel continente che solo nel corso del ’900 si è proiettato con istanze autonome su scala internazionale
Un momento della Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro del 2013

Un momento della Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro del 2013

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Il “parto del mondo” nella sua totalità. Questo ha rappresentato per la filosofa argentina Amelia Podetti “l’irruzione” dell’America Latina sulla scena planetaria. L’evento fondante della modernità, poiché a partire da esso la storia diventa davvero “universale”. Tale processo non si conclude con la “scoperta- conquista” e, successiva, colonizzazione. È solo nel corso del Novecento – un secolo dopo l’indipendenza politica – che il Continente si proietta con voce e istanze autonome sulla ribalta internazionale. Nel travaglio, la Chiesa latinoamericana ha un ruolo cruciale. Quasi una “levatrice”, per stare nella metafora. Essa stessa ha dovuto faticare per “diventare adulta”. Dismettendo i panni di semplice destinatario delle “linee romane”. Per raggiungere la maggiore età e dare, così, il proprio contributo pieno alla cattolicità della Chiesa. Le conferenze generali dell’episcopato latinoamericano di Puebla e Aparecedida – nel 1979 e 2007 – sono due tappe essenziali nel percorso di “presa di coscienza” ecclesiale. È a quei 28 anni che si deve guardare per comprendere appieno la ricchezza del pontificato di papa Francesco e la sua enfasi sulle “periferie”. Intese non solo come luogo privilegiato di missione bensì come orizzonte ermeneutico per comprendere davvero la realtà del XXI secolo.

La sottolineatura bergogliana «dei volti, della carne sofferente a cui avvicinarsi, ad esempio, viene proprio da Puebla. In cui i vescovi si soffermano sui volti della propria gente, a cui andare incontro», dice ad “Avvenire” Luis Liberti, docente dell’Università Cattolica argentina (Uca). Liberti è uno della ventina di esperti internazionali chiamati a riflettere dall’Istituto San Pio V sul percorso “Da Puebla a Aparecida. Chiesa e società in America Latina”, in una due giorni di dibattiti allo Sturzo di Roma. È il Concilio Vaticano II a “provocare” la Chiese del Continente. Nell’interrogarsi su come incarnarlo nella realtà, esse sono “costrette” a guardare in faccia quest’ultima, con le sue diseguaglianze feroci, le ingiustizie croniche, la violenza. E, così – in un processo di definizione dinamica – prendono piena consapevolezza della propria missione di testimoni di speranza. Riuniti a Medellín per la seconda Conferenza generale, nel 1968, i vescovi latinoamericani scelgono con coraggio dirompente di camminare fra e con i “crocifissi della storia”. Undici anni, alla terza Conferenza, a Puebla, viene formulata esplicitamente «l’opzione preferenziale per i poveri». Mentre su Medellín, però, le ricerche abbondano, su quest’ultima «vi sono pochi studi scientifici, sia storici, sia antropologici, sia teologici», sottolineano i messicani Berenise Bravo, della Escuela nacional de Antropología e Hi- storia, e Marco Pérez Iturbe, dell’Archivio storico dell’arcivescovado di Città del Messico.

Si ignora perfino che allora «si risveglia la sensibilità ambientale. Questione che giungerà a compimento nella quarta Conferenza di Santo Domingo, nel 1992, con l’appello a un conversione ecologica», afferma Lucas Cerviño, dell’Università Cattolica boliviana. Forse, su una certa “memoria selettiva” ha pesato il giudizio di alcuni settori per i quali il documento di Puebla sarebbe stato un passo indietro rispetto all’impeto rinnovatore di Medellín. In realtà, la terza Conferenza riafferma valori e idee che vengono da quest’ultima: la dignità umana, la lotta per la giustizia, la rivendicazione dei valori culturali autoctoni, la povertà strutturale. «Rifiuta, però, qualunque ipotesi di violenza, compresa quella guerrigliera. Contraddicendo, in tal modo, quanti in America Latina avevano letto in Medellín la possibilità di giustificare la lotta armata contro regimi autoritari. Evita, dunque, che i valori affermati nell’assise precedente possano essere politicizzati e li proietta con slancio nella Chiesa universale », sottolinea Miranda Lida, anche lei della Uca. Forte di tale auto-consapevo-lezza, la Chiesa latinoamericana «acquista un ruolo cruciale nel contrasto alle dittature militari, tra il 1964 e il 1986», afferma il noto storico franco-messicano Jean Meyer, del Centro de investigación y docencia económica (Cide). E ribadisce: «Tale lotta è costata la vita a sacerdoti, religiose, laici e all’arcivescovo di San Salvador, Óscar Romero. La Chiesa, inoltre, ha avuto una funzione di primo piano nella promozione di accordi di pace tra i governi e le guerriglie, basta pensare al caso salvadoregno. Un compito che continua ad assolvere, come dimostra il recente esempio della Colombia ». Nelle difficile transizione dai regimi militari alla democrazia anche la Santa Sede svolge un lavoro significativo, per quanto in punta di piedi. «San Giovanni Paolo II si spende in prima persona – dice Marco Gallo, dell’Universidad Católica argentina –. Basta ricordare la visita lampo in Argentina in piena guerra delle Falkland-Malvinas, nel 1982». In questo cammino, l’incontro di Aparecida è, al contempo, meta e punto di ripartenza. «Nel documento finale – redatto sotto la supervisione dell’allora cardinale Bergoglio – si legge in controluce l’idea di una “Chiesa generatrice di un popolo nuovo”, maturata, a volte con sofferenza, nei 28 anni precedenti. Ora, Francesco la rilancia alla Chiesa universale con Evangelii Gaudium », dice Austen Ivereigh, giornalista, scrittore, cofondatore di Catholic Voices e autore di Tempo di misericordia (Mondadori). Per tale ragione, Bergoglio appare «il Papa dei tempi nuovi», come lo definisce Rodrigo Guerra, presidente del Centro de investigación social avanzada di Città del Messico. Nel mondo e anche nell’America Latina post-Aparecida.

Terminata la stagione delle dittature e quella degli esperimenti ferocemente neoliberali, nella Chiesa e nella società del Continente emergono soggetti nuovi. «È un momento di ricerca – conclude Guerra –. L’esito dipenderà dalla risposta dei singoli e dei popoli. Nel 2031 ci sarà il quinto centenario delle apparizioni della Vergine di Guadalupe. Il mio sogno è che allora i latinoamericani non celebrino Maria solo con canti e fiori. Bensì con nuove testimonianze di una fede vissuta dal popolo, a fianco degli ultimi, con la gioia di una nuova creatività culturale».

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