lunedì 6 luglio 2015
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Le prediche di Spoleto, proposte dall’arcidiocesi assieme al “Festival dei 2 Mondi” e col patrocinio del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione sono dedicate quest’anno alle “Parole per la felicità”. Ogni versetto del Discorso della montagna viene commentato da un predicatore illustre. Dopo Enzo Bianchi, Salvatore Martinez, Nunzio Galantino e Gianfranco Ravasi, ecco l'intrevento di padre Mauro Gambetti, custode del Sacro Convento di Assisi. In questa pagina anticipiamo ampi stralci della sua predica sul tema: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». È beato chi vive la pace. È beato chi promuove la pace e lavora per la pace. La pace è una realtà complessa, ed anche dal punto di vista semantico questa complessità permane e forse esprime il desiderio e la fatica della pace. Desiderio che abita il cuore dell’uomo che cerca giorni sereni abitati dalla serenità e tranquillità: fatica perché la pace è anche il frutto di una lunga e aspra battaglia ingaggiata con se stessi per sconfiggere quegli aspetti della vita personale che, segnati da un ego ingombrante ed invasivo, alimentano la volontà di predominio; battaglia nelle relazioni con gli altri per sconfiggere i pensieri malvagi che Evagrio riteneva fonte di discordia e di guerra nelle relazioni interpersonali: vanagloria, superbia, ira, invidia ed altro ancora. Dal punto di vista semantico la pace nella lingua biblica è shalom, che indica fondamentalmente la totalità e la integralità del benessere oggettivo e soggettivo, frutto di intensa e corretta relazione con «Jahvè pace», il nome dato a Dio da Gedeone dopo averlo incontrato e dopo aver sperimentato la sua presenza salvifica. Vi è poi la pace eirene così come il mondo greco la concepisce, che è la situazione di serenità che si sperimenta nel tempo in cui non c’è rumore di guerra, in cui vi è ordine, tranquillità. Vi è poi la pax latina e la situazione di serenità fondata sugli accordi stipulati ed accettati. Ma vi è anche la pace che scaturisce dalla realistica e tanto presente, anche ai nostri giorni, concezione della pace, frutto di una massima che dice si vis pacem para bellum. Questa pace l’abbiamo conosciuta e forse la conosciamo anche oggi quando, nei giorni della guerra fredda, le grandi potenze mostravano i muscoli bellici per scoraggiare la guerra e spingere alla pace. La pace per gli antichi era associata agli “esperti” del benessere totale, all’armonia del gruppo umano e del singolo individuo con Dio, con il mondo materiale, con gli altri gruppi e individui e con se stesso, nell’abbondanza e nella certezza della salute, della ricchezza, della tranquillità, dell’onore umano, della benedizione divina o, in una parola, della “vita”. Boezio la chiamava «omnium honorum cumulata et secura possessio ponemio». Sorge a questo punto una domanda in questa concezione tutta umana della pace: il cristianesimo cosa aggiunge? Qual è lo specifico? L’annuncio cristiano assume tutto quello che di vero, di bello e di giusto c’è nell’umano e lo potenzia e lo porta a pienezza, in una soluzione di continuità e di eccedenza. Al tempo dell’incarnazione i testi evangelici dicono che vi era pace su tutta la terra ed in qualche modo fanno riferimento alla pax augustea.Eppure gli angeli a Betlemme cantano la pace che è il frutto della nascita di Dio e della sua vita all’umanità. L’eccedenza della pace di Betlemme non è solo armonia e tranquillità ma è pace come salvezza che si sta realizzando qui ed ora grazie al mistero dell’incarnazione. Quando Gesù annuncia la pace nel vangelo delle beatitudini, non parla solo di assenza di conflitti esterni, ma annuncia una rinnovata e ritrovata armonia dentro l’uomo che è dominio di sé e che, proprio perché si è capaci di dominare la tempesta interiore dell’irrequietezza del cuore umano, si può altresì, con la forza di Dio, dominare la terra grazie alla mitezza e alla mansuetudine propria di coloro che sono diventati figli. Il frutto pasquale che Gesù annuncia ogni volta che compare è lo Shalom, che altro non è che la pace frutto della Pasqua che debella per sempre il peccato e la morte. Le tenebre, con il loro carico di morte, di guerre, di violenze, sono vinte dalla luce pasquale. Per chi conosce il preconio pasquale sa bene che quello è il canto della vittoria della vita sulla morte. La pace si tramuta in canto di esultanza. Dopo queste fugaci annotazioni che non hanno nessuna pretesa di essere esaustive, ma sono solo alcune brevi considerazioni in margine ad un tema complesso quale è quello della pace, per rendersi conto delle tante e molteplici vie di edificazione della pace basterebbe andare a rileggere i tanti messaggi che i papi, a partire da Paolo VI, ci hanno inviato in occasione della giornata mondiale della pace che da oltre cinquant’anni si celebra il primo gennaio. Vorrei ora guardare ad uno specifico contributo francescano della pace. In questi anni tanti amici ci hanno guardato con sufficienza, come a degli ingenui che parlano di pace, di creato, di ambiente, di madre terra, di sora acqua, quasi fossimo una edizione cattolica dei figli dei fiori; insomma uomini tra il romantico e l’estetico, figli di un pacifismo di moda. Con voi vogliamo rileggere alcune pagine storiche e agiografiche che ci aiutino a ritrovare i fondamenti dell’impegno per la pace e del nostro contributo a questo impegno così importante del quale, oggi più che mai, c’è estremo bisogno.Costruttori di pace nei rapporti con il clero, dentro la Chiesa. Francesco sceglie la strada della testimonianza a quella della denuncia, già ampiamente praticata da vari gruppi eretici, che trovano nei comportamenti poco trasparenti del clero un motivo per fare guerra alla Chiesa considerata la Babilonia, covo di ogni violenza e corruzione: «Francesco voleva che i suoi figli vivessero in pace con tutti e verso tutti senza eccezione si mostrassero piccoli .... Continuava (dicendo) che il bene delle anime è graditissimo al Signore e ciò si può raggiungere meglio se si è in pace con il clero. Se poi essi ostacolano la salvezza dei popoli, a Dio spetta la vendetta ed egli darà a ciascuno la paga a suo tempo. Perciò siate sottomessi all’autorità, affinché, per quanto sta in voi, non sorga qualche gelosia. Se sarete figli della pace guadagnerete al Signore clero e popolo. Questo è più gradito a Dio che guadagnare solo la gente con lo scandalo del clero» (FF 730).Francesco conosce bene, ed anche per esperienza personale, la follia della guerra con il retaggio di morte, di sofferenza e di odio. L’ha vista stampata nei volti e nei corpi martoriati ai tempi della guerra tra Assisi e Perugia nella battaglia di Collestrada. Ed allora quando giunge a Bologna, in quella famosa predica di Piazza Maggiore, il narratore Tommaso da Spalato dice: «Tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace». Se un giorno, vi capitasse di giungere ad Assisi, curiosi o pellegrini, non importa come, e aveste la bontà di fermarvi davanti al cornetto d’avorio donatogli dal sultano di Damietta, trovereste che la via della pace che Francesco ha percorso ed ha insegnato ai suoi frati è quella del dialogo cortese e rispettoso, che non impone, ma narra, racconta la scoperta del Cristo Signore della vita e della storia. Percorrere la strada del dialogo nella costruzione della pace o nell’annuncio del vangelo non è un surrogato all’annuncio ma è una modalità di annuncio, che nasce da una identità chiara, che non negozia i contenuti della fede ma li trasmette secondo una modalità dialogica. Si fa allora chiara la strada della pace percorsa da S. Francesco, che potremmo chiamare la “via francescana della pace”, che poi altro non è che quella del vangelo e quella percorsa dal Santo Padre Giovanni Paolo II che consiste nel dialogo, nella preghiera, nella penitenza. Di fronte alla cronaca di ogni giorno, così segnata dai conflitti, dalle guerre, fatte addirittura invocando il nome di Dio, sorge spontanea una domanda: si può fermare questa storia intrisa di sangue e di aggressività soprattutto ad opera del terrorismo e dello jaidismo usando queste armi fragili, ma che poi sono fragili solo in apparenza, giacché hanno in sé la potenza e la forza di Dio? Per esperienza sappiamo che violenza genera violenza e che solo l’amore è capace di edificare la pace e di fermare la violenza.Infine, andiamo insieme, idealmente, nella basilica superiore di Assisi per contemplare insieme il bellissimo affresco di Giotto «la predica agli uccelli». L’affresco ci dice che è stata fatta la pace con il mondo, con il creato; come la pagina dei fioretti che ci racconta del lupo di Gubbio ci dice che la pace è fatta e che il lupo feroce è ormai diventato frate lupo. Un biografo moderno di S. Francesco contemplando l’affresco della predica agli uccelli così si esprime: «Francesco contempla il mondo degli uomini e delle cose con gli occhi stupiti e riverenti con cui li vide il primo uomo nel primo mattino del mondo» (O. Englebert). L’uomo nuovo, per i credenti, nato dalla Pasqua di Cristo, ha un cuore nuovo dove abita la pace ed è costruttore di pace per vocazione perché è figlio di Dio.
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