«Tableau-piège Serie Sevilla n. 11»
(© Land Niederösterreich Landessammlungen)Nel 1966, mentre già la critica si interessa al suo lavoro, Spoerri parte per New York e lì inventa un nuovo filone della 'natura morta', quasi una filiazione diretta della società dei consumi. Spoerri conia per queste opere un nome profetico: Eat art. E così anticipa un discorso oggi di moda. Qualcuno anni fa disse che il mercato stava diventando esperto di «vita sana». Il mercato, cioè, aveva capito che l’ossessione della salute e l’ecologismo nelle sue moltissime varianti sarebbe presto diventato un business. La filosofia slow food è certamente animata dalle migliori intenzioni, ma sappiamo bene che chi mangia sano quasi sempre è uno che può spendere per un cibo o una cucina di qualità 'pulita'. Il pauperismo non va sempre d’accordo con la vita sana (un tempo si diceva che il design industriale sarebbe stato il mezzo per portare la modernità e il vivere bene all’uomo comune, ma il design si è rivelato un valore aggiunto accessibile perlopiù al ceto benestante. Argan proprio negli anni Sessanta aveva dovuto registrare il fallimento di questa utopia in cui aveva creduto). La mostra, molto ampia, che Modena dedica a Spoerri è in gran parte imperniata sul filone Eat Art. Ne esce un 'quadro' istruttivo. Spoerri si rivela un barometro delle trasformazioni sociali. L’elemento fondamentale non sono gli oggetti che compaiono su queste 'tavole' poste in verticale, e nemmeno il loro ordine nello spazio delimitato dal supporto. Ciò che le caratterizza è il tempo come traccia umana, che si manifesta in due dispositivi estetici: la violazione apparente della legge di gravità e lo sporco che troviamo spesso su piatti e stoviglie. Spoerri ci parla dell’uomo, del suo passaggio. Mentre la natura ha un ordine che corrisponde a precise leggi di sviluppo, l’uomo è quanto di meno naturale ci sia: quando passa in un luogo l’uomo lascia tracce che possono anche mutare le leggi della natura, e deposita dietro di sé scorie che trasformano l’ecosistema. L’uomo sporca in modo diverso dal mondo animale e vegetale; l’uomo spazza le foglie secche dai marciapiedi (perché camminare su un letto di foglie lo infastidisce), ma non si fa troppi problemi a buttare fazzolettini da naso, bottiglie, scatole di sigarette o altro ai margini delle strade o nei prati, a scaricare rifiuti tossici in mare… L’animale si sfama, l’uomo consuma. Il ciclo biologico diventa allora un ciclo produttivo, cioè una idea di sovrappiù (profitto): più produzione più ricchezza… più scorie. La vita inquina, così l’ecologismo e il salutismo invocano una purità che, talvolta, è il limite più prossimo alla morte (la morte riporta l’uomo nel ciclo biologico, lo disperde nella natura: lo rende di nuovo polvere). Insomma, l’uomo è una vera contraddizione. La mostra di Modena è 'completa', un autoritratto: ceci c’est Spoerri. Oppure: le tableau- piège c’est moi. Spoerri s’interroga sulle ragioni del cibo; sul modo di stare a tavola; sui valori culturali della nutrizione (il pane, per esempio, che nelle sue opere diventa scultura, forma plastica; Arturo Martini raccontò del fratello che con la mollica di pane aveva fatto una scarpetta e col proprio sangue le aveva dato un colore, e diceva: questa è la scultura). Spoerri fonda la Eat art e va fino in fondo: nel 1968 apre a Düsseldorf un 'Restaurant Spoerri' e poi una 'Eat art Gallery'. Fa sorridere pensare che vi sia qualcuno oggi che dice dobbiamo fare l’arte a immagine di slow food, bisogna fare la slow art. Il fatto è che a Düsseldorf chi entrava nel ristorante di Spoerri si trovava di fronte alla possibilità di scegliere tre menù: il terzo era il piatto del giorno, il più economico, polenta e zampone con tartufo bianco; il secondo era a base di carne di manzo servita con molto aglio e patate; il primo, ecco l’ironia dell’artista, era basato sul principio 'tutto è commestibile' «ed era caratterizzato – dice Spoerri rispondendo alle domande di Nicoletta Ossanna Cavadini nel catalogo della mostra edito da Silvana – da elementi che provenivano da tutto il mondo, dalle proboscidi di elefante ai serpenti, dalle termiti ai vermi cotti, il tutto farcito con miele e cioccolato, ed era il menù più caro e ricercato». Si capisce quanto di 'antiborghese' vi sia in una idea del genere e si torna alla diade surrealista 'disgusto e desiderio', al perturbante che si trasferisce dall’arte al cibo e torna a essere critica del proprio tempo.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: