giovedì 11 maggio 2017
Padri, madri, figli possono uscire dalla routine che annebbia la fede in posti rigeneranti per il proprio cammino
L'eremo di Caresto

L'eremo di Caresto

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La vita ordinaria di una coppia con figli in contesti urbani è oggi quanto di più lontano si possa immaginare da un clima favorevole alla riflessione spirituale. Cosa intendiamo quando parliamo di spiritualità coniugale e familiare? La maggior parte dei tentativi di mettere a fuoco queste dimensioni e di divulgarne la pratica hanno mostrato limiti e inadeguatezze. Per eccesso o per difetto. Da un lato lo sforzo è stato costretto a fare i conti con il rischio della clericalizzazione, dall'altro con il pericolo della semplificazione banalizzante. Parliamo di prassi, non di teorie. La riflessione sul tema, anzi, è ricca, articolata, quasi sovrabbondante. L'Ufficio nazionale Cei per la pastorale della famiglia organizza ogni anno – si è conclusa pochi giorni fa ad Assisi la XIX edizione – una "Settimana" di studi sulla spiritualità coniugale e familiare. Se si scorrono gli atti di questo appuntamento – relazioni più approfondimenti vari occupano un intero scaffale – che ha avuto in questi ultimi anni un sapore quasi profetico, si possono trovare infiniti spunti di riflessione. Il problema è poi come calare queste intuizioni nella quotidianità della vita di coppia.

Quali spazi ritagliare per fermarsi un momento insieme nella convulsione delle nostre giornate? Se è vero che nel percorso verso la salvezza tutti i momenti della vita devono e possono farsi preghiera, perché allora tante difficoltà per offrire spessore spirituale alla routine della coppia e della famiglia? Il fatto che esistano tante difficoltà per trasformare in cammino di ascesi lo scorrere ordinario della quotidianità familiare, con tutto il suo carico di speranze e di sofferenze, di normalità e di bellezze, la dice lunga sui ritardi con cui si è cercato di formulare e proporre modelli di preghiera che non fossero solo fotocopie di quanto in uso per altre vocazioni. Proprio perché più semplice e agevole, la replica di quella che potremmo definire "spiritualità consacrata" è stata a lungo quella dominante. Con il risultato che modalità molto distanti dalla realtà vissuta oggi da coppie e famiglie sono state indicate quasi come soluzione senza alternative. Un'insistenza che ha evitato quindi di fare i conti con diversità evidenti. I maestri di preghiera, i grandi asceti, i mistici non hanno mai dovuto confrontarsi con i mille, diversi e complessi risvolti della quotidianità coniugale e familiare. Per la coppia credente rimane così, spesso inevaso e difficilmente definibile, il desiderio di scandire con la preghiera e con qualche spunto di riflessione le ore di una vita senza respiro.

Ma come fare per dare risposte a questi aneliti dello spirito? Come costruire questi momenti che non possono essere semplici repliche di quelli vissuti, con altri ritmi e altri orizzonti, in un convento, in un eremo, in un istituto di vita consacrata?Questi meglio o peggio di quelli? Chi può dirlo? Nessuna classifica di merito. C'è però da sottolineare una diversità che ha determinato un dato di fatto. Nel novantanove per cento dei casi, i modelli di spiritualità sono stati finora quelli offerti da sacerdoti, religiosi, suore o sante vergini. Sarà solo un caso che fino a oggi sono soltanto due in epoca moderna (Maria e Luigi Beltrame Quattrocchi, Zelia e Luigi Martin) le coppie di sposi beatificate o canonizzate per le loro virtù coniugali e familiari? Proprio in una prospettiva di ricerca di nuove proposte spirituali per la coppia e per la famiglia, non si può evitare di approfondire questioni che riguardano la congruità di riferimenti spirituali da trasferire nella realtà dei nostri giorni, con le diverse e complesse situazioni vissute dalle famiglie.

Rotture, disgregazioni, sofferenze. E poi conviventi, separati, divorziati risposati, coppie tra persone dello stesso sesso. Unioni che saremmo tentati di definire "irregolari" se papa Francesco non ci avesse spiegato che questo lessico va definitivamente considerato inopportuno e sgradevole perché nessuno, sulla base della propria condizione di vita o del proprio orientamento sessuale, può essere considerato "irregolare" agli occhi di Dio. E la Chiesa, per prima, ha il dovere di guardare a queste persone, come a tutte le altre coppie, con un nuovo atteggiamento che proprio nell'Amoris laetitia viene sintetizzato in quattro momenti: accogliere, accompagnare, discernere e integrare tutti. Bellissimo e impegnativo.

Fondamentale infatti definire meglio la specificità esistenziale di due persone che vivono insieme, si amano, hanno scelto di formare una coppia secondo le indicazioni del Vangelo e le tradizioni della Chiesa, di essere benedette da un sacramento, di aprirsi alla vita. Condizioni sufficienti per individuare una via originale alla vita spirituale? No, se per questa coppia non ci sforziamo di tracciare i contorni di una spiritualità laica, incarnata, "coniugata", cioè di vedere il loro anelito spirituale all'interno di una relazione intima ed esclusiva. Perché non esiste nessun'altra condizione umana in cui il rapporto sia più stretto, vincolante, definitivo. Solo nel matrimonio si riflette pienamente il mistero della complementarietà, il gioco lieve della tenerezza, lo scambio di suggestioni e di rimandi che tocca l'apice etico ed estetico nel linguaggio del corpo, e quindi diventa via di reciprocità nel rapporto coniugale. È proprio questo il primo luogo del dono reciproco. È dono che si incarna, che prende la forma di un'alleanza nell'unicità, nella fedeltà e nella differenza. Ma tutta la bellezza e tutta la verità della differenza sessuale come si esprime nella preghiera di coppia?

Forse potrebbe essere davvero questa la soluzione, adeguandola però alla realtà concreta delle varie situazioni. Giovane coppia? Fidanzati, conviventi, in attesa di potersi sposare? Coniugi anziani? Separati single o in nuova unione? Presenza o meno di figli? Di nipoti? Oggi troppi modelli di preghiera, troppi schemi di spiritualità familiare, anche quando si sforzano di rinnovare i propri contenuti, rischiamo di risultare inefficaci proprio perché indifferenziati. «Camminiamo, famiglie, continuiamo a camminare! Quello che ci viene promesso è sempre di più. Non perdiamo la speranza a causa dei nostri limiti, ma neppure rinunciamo a cercare la pienezza di amore e di comunione che ci è stata promessa» (Al 325). Ecco, l'esortazione con cui si conclude Amoris laetitia può forse servire per ridefinire e riformulare modelli di preghiera e riferimenti spirituali capaci di accompagnare sia quelle coppie e quelle famiglie che non vogliono rinunciare a una prospettiva cristiana, sia soprattutto quelle che lungo le salite difficili della nostra epoca hanno smarrito la strada, guardano criticamente alle proposte della Chiesa e sentono vacillare la speranza.

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