giovedì 25 marzo 2021
Il maestro della musica popolare ha fatto cantare la “Divina Commedia” agli studenti d’Italia riprendendo l’antica pratica dei pastori-poeti dell’Appennino. Il progetto al ministero dell’Istruzione
Ambrogio Sparagna

Ambrogio Sparagna - Archivio

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C’è una catena di ragazzi che da Trento arriva fino in Sicilia e che in questi mesi ha cantato Dante: e non metaforicamente. Questo è accaduto grazie ad Ambrogio Sparagna, che in occasione dei 700 anni della morte di Alighieri ha realizzato con il ministero dell’Istruzione il progetto pilota “Cantare Dante a scuola”. Venticinque istituti di ogni ordine e grado lungo tutto lo stivale hanno potuto sperimentare l’antica pratica della poesia cantata di area appenninica, accompagnata da strumenti tradizionali e sulla base di alcune musiche originali composte in stile popolare sugli endecasillabi della Divina Commedia. Ogni istituto scolastico ha ricevuto i materiali per apprendere e riproporre quattro brani diversi. Questa mattina, in occasione del Dantedì, tutte le scuole partecipanti si incontreranno digitalmente sulla piattaforma del ministero dell’Istruzione per condividere le loro esperienze assieme al ministro Patrizio Bianchi, Ambrogio Sparagna e la docente Annamaria Colaianni. La registrazione dell’incontro verrà quindi messa a disposizione online.

«La risposta è stata segnata da un entusiasmo straordinario – osserva Sparagna –. Molte scuole hanno dovuto lavorare a distanza, con uno sforzo notevole, ma tutti si sono sentiti parte del progetto, un fare insieme: un grande desiderio di condivisione in un momento in cui siamo tutti separati. C’è stata anche una forte elaborazione del materiale, legato al tipo di scuola e al contesto. Uno per tutti: la scuola Corigliano d’Otranto ha tradotto i versi di Dante in griko [il dialetto della lingua greca parlato in Salento, ndr] e li ha cantati ballando la pizzica».

Da tempo Sparagna porta in giro per l’Italia il Dante riscoperto tra i pastori dell’Appennino centrale, come ad esempio “BandaDante” con Davide Rondoni, spettacolo fermato dalla pandemia: «L’Alighieri che abbiamo proposto è quello che negli anni Settanta ho conosciuto dai poeti di tradizione orale, persone che magari avevano poca dimestichezza con lettura e scrittura ma conoscevano a memoria i versi e le storie di Dante come quelle di Ariosto e Tasso. Era un modo per avvicinarsi alla poesia fatto di canto, condivisione, formule conosciute e riproposte. Questo approccio con le scuole ha tolto barriere e distanze». La prima a cadere è quella nei confronti di un Dante autore difficile e lontano: «I pastori, che proponevano Dante nei loro convivi festivi, mi hanno fatto capire che nelle corde della cultura italiana esiste un legame tra ciò che consideriamo un pensiero mistico e il suo “consu- mo” popolare. I temi della Commedia sono alla portata di tutti proprio perché sono di altissimo livello. È la natura universale dei suoi versi e delle sue storie. Per secoli sui monti Dante si è imparato a orecchio, e questo lo ha fatto diventare vicino. Si poteva cantare Dante anche in una osteria: e questo voleva dire parlare di Dio in una osteria. È un aspetto che le persone comprendono benissimo, anche oggi, e si liberano dei preconcetti facendo diventare Dante un gioco quotidiano».

I quattro testi proposti ai ragazzi sono Paolo e Francesca, una selezione da tutte e tre le cantiche «che abbiamo voluto chiamare Convivio », “Ahi serva Italia” e Cacciaguida «perché il tema dell’esilio oggi è cruciale. In generale sono pagine che abbiamo scelto sia per la loro capacità di parlare ai ragazzi sia perché in parte erano tra quelle cantate dai pastori». Uomini analfabeti che però ora fanno scuola sulla poesia: «Perché cantare la poesia? Le rispondo con un verso che ritorna frequentemente tra questi poeti: “Voglio cantare perché se non canto moro”. Senza poesia non si vive, ma ancora di più senza poesia cantata. Non la leggo: la canto, la ascolto. E così la condivido». Ma è anche uno stimolo e un invito a creare poesia: «I ragazzi delle scuole hanno avuto un approccio eccezionale, forse anche a causa del Covid. Io credo che questo porterà a un uso della poesia più articolato e più dinamico. Gli antichi poeti popolari ci hanno consegnato un valore straordinario: l’improvvisazione. Nelle loro gare in ottava rima potevi sentire emergere frammenti di Commedia. Certe immagini, certi intrecci di parole, certi termini i poeti popolari li hanno direttamente acquisiti dalla letteratura dantesca».

Un fenomeno importante fino a pochi anni fa, ma che non è scomparso: «La tradizione oggi resiste. Ad Amatrice e nei paesi del cratere trovi suonatori di ciaramelle che citano Dante accompagnandosi con le loro zampogne. È una resistenza culturale, ancora più significativa oggi in un’area in cui il senso di abbandono è forte. C’è una forte ripresa di poeti a braccio e cantori di terzine, è la stessa Chiesa a favorire questa attività comunitaria nei pochi luoghi in cui è possibile. In Abruzzo ci sono giovani oggi che hanno ripreso la pratica dell’improvvisazione. Spesso hanno rifatto proprio anche il mestiere della pastorizia. In compagnia di Dante».

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