mercoledì 24 ottobre 2012
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​La vita monastica: altro che fuga dalla realtà e da se stessi. «Il silenzio è – probabilmente in tutti i tempi – raggiungibile solo attraversando una lotta intensa contro tutti i clamori, esterni e interni. Chiudendo la porta sui clamori di fuori si prova un immediato benessere, una sensazione di pace raggiunta; ma, dopo poco, comincia a emergere dal profondo del cuore e della memoria il coro disordinato, chiassoso, talvolta disperato, di tutte le voci che vi si sono depositate negli anni. Le voci del mondo, che portiamo con noi. Il lavoro è far sì che questo coro non si sovrapponga, chiassoso e informe, alla preghiera. Ma è il lavoro di tutta una vita». Lo racconta suor Myriam, trappista del monastero di Valserena (Pisa) dove vivono una quarantina di claustrali cisterciensi fra i 28 e gli 88 anni. La sua è solo una delle tante voci raccolte dal giornalista Giampiero Beltotto nel volume Silenzio amico. La bellezza della clausura al tempo di internet (pp. 272, euro 16,50), dai prossimi giorni in libreria per i tipi di Marsilio; libro dedicato alla memoria dei padri trappisti trucidati in Algeria nel maggio del 1994. L’autore si era già avvicinato alle trappiste di Vitorchiano (Viterbo), monastero che ha fondato quello di Valserena, pubblicando nel ’79 il best seller Ho intervistato il silenzio, edito da Città Armoniosa, uno dei primi volumi in cui si dava voce al monachesimo femminile. «L’attuale badessa di Valserena, madre Monica, era una giovane monaca a Vitorchiano ai tempi di quell’intervista – racconta Beltotto –. Nel corso degli anni ho continuato ad avere, senza particolari continuità, una relazione con alcune di loro. Trovo spettacolare il loro rendersi disponibili al dialogo con il mondo esterno. Una relazione che vivono nel rispetto del carisma contemplativo, senza cercare il cristianesimo prêt à porter che piace così tanto alla cultura egemone». Negli anni Settanta «avevo 25 anni e il mondo era ancora antico e analogico. Oggi ne ho 58 e cerco di sopravvivere nell’era della tekné. Certo, questa ricerca cade in un momento assolutamente diverso, ma sono convinto che si rivolge allo stesso bisogno. Nasciamo sotto il segno di Caino, ma ogniqualvolta riconosciamo la grazia, scopriamo nella pancia una struggente malinconia di Dio, che ci manca e che si svela nella bellezza», sottolinea Beltotto. E conclude: «Non ho messaggi nella bottiglia: quelli lasciamoli alle mode spiritualiste. Sono un cattolico che cerca di seguire l’esperienza della Chiesa. In una linea d’ombra, naturalmente, consapevole come sono di tutte le volte che non ci riesco». E le monache, loro ci riescono? Ci provano, da quanto dicono loro stesse. Con una semplicità sbriciolata nel quotidiano, ritmato da lavoro e preghiera, sfatando molti pregiudizi nei loro confronti: «Sono l’unguento della Maddalena che cancella ogni moralismo, lessico quotidiano di donne chine nei gesti di una semplicità minuta, eppure disponibili a comprendere i linguaggi della modernità», scrive Beltotto. Alcune di loro si mettono in gioco con il popolo della Rete, che naviga in una cultura globalizzata, dialogando con gli utenti del sito Dalsilenzio.it. C’è chi chiede se le monache piangono e colpisce la schiettezza della risposta: «Certamente sì. Dipende dalle persone e dai momenti della vita. Si piange per ciò che fa soffrire, o commuovere, come ogni essere umano. Le ultime arrivate per nostalgia del mondo o fatica a entrare nella vita». Un altro internauta scrive: «Non le piacerebbe veder crescere un suo ipotetico nipote?» e la trappista al pc risponde teneramente: «Grazie a Dio ce li portano ogni tanto. Ci piace molto vederli, anche sentire le loro vocine in chiesa». Fino a chi si domanda se, in tempo di crisi, anche le monache facciano sacrifici: «Oppure pensate che il vostro impegno nella clausura sia già sufficiente?». Da Valserena arriva una replica pragmatica: «Come tutti, abbiamo i nostri problemi per far quadrare il bilancio, migliorare i nostri prodotti per riuscire a venderli. Alla vita semplice siamo abituate e non sentiamo la differenza, almeno per ora. Ma abbiamo meno risorse per aiutare le nostre sorelle in Africa». Altre alle risposte emerse dal web, colpiscono la lucidità e la capacità di arrivare al cuore delle questioni cruciali per l’esistenza, senza spiritualismi a buon mercato. In un tempo frenetico e distratto, in una società globalizzata, la clausura «non si trova in un centro commerciale, ma proprio il consumismo esasperato lascia quel senso di vuoto e quel desiderio di autenticità che ci pone alla ricerca di qualcosa per cui vale la pena vivere – confida suor Maria Giovanna –. Spesso all’inizio c’è un desiderio del cuore, il desiderio di qualcosa di più che possa dare senso alla propria vita. Poi un incontro con qualcuno che ci ha parlato del monastero, per altre una pagina di internet, per altre ancora un’amica. Nasce il desiderio di venire a vedere, l’incontro con la bellezza della preghiera liturgica, con uno spazio di silenzio tanto ricercato, con una sorella dal cui sguardo traspare un vita piena e vera». Le fa eco suor Federica: «Ero una professionista discretamente affermata nel mio piccolo ambito lavorativo e avrei potuto essere felicemente anche moglie. Madre non so, perché è dono di Dio. Ma lui è intervenuto nella mia vita con un altro dono, quello della chiamata». E suor Petra sintetizza il senso della castità: «Amore purificato dal possesso, dall’egoismo, dalla tentazione di ridurre a sé l’altro, se non addirittura di "usarlo" per sé. La castità è il mezzo, la via, per assomigliare al modo con cui Dio ci ama, e questo è necessario proprio per tutti, nello stato specifico di vita in cui ognuno si trova». Pensieri non di super-donne, ma di persone che cercano il senso autentico dell’esistenza. Come suor Vera: «Mi rendo conto che molta parte del nostro mondo sia come malato di infantilismo e che la "mania" di mantenersi giovani sia la proposta che si riceve nella vita. Lo si nota sia a livello di cura del corpo, di abbigliamento, di possibilità infinite di svago, vacanza e divertimento, di mancanza d’iniziativa a livello sociale e d’impegno personale nelle scelte della vita. Ci si trova poi pieni di paura per la vecchiaia e per la morte. Paura che si manifesta anche nella ritrosia ad affrontare qualsiasi difficoltà».
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