giovedì 29 agosto 2013
COMMENTA E CONDIVIDI
Mario Soldati e l’America, un amore intinto nell’odio. L’ancora inedito carteggio tra lo scrittore e cineasta piemontese e il critico letterario (e spia fascista) Giacomo Antonini, svela un importante retroscena sulla genesi del libro America primo amore, che è la cronaca di un progetto migratorio fallito, cioè di una sconfitta esistenziale. Il primo romanzo soldatiano, edito nel 1935, avrebbe dovuto essere pubblicato con un altro titolo, ben più rispondente allo spirito dell’opera, generata dal risentimento del letterato verso il Nuovo Mondo che lo aveva respinto. In una lettera del 14 marzo ’35, che si conserva nel Fondo Antonini del Gabinetto Vieusseux di Firenze, Soldati scrive infatti all’amico Giacomo: «Ho fatto il contratto per il mio libro Addio all’America con Bemporad: il manoscritto è già in tipografia e speriamo che esca prestissimo».Dunque, altro che «primo amore». Soldati era posseduto dal sentimento di cocente delusione, proprio dell’amante rifiutato, e difatti non aveva trattenuto nulla, nella penna, di quell’amara esperienza che lo aveva condotto alla sola conclusione che gli pareva ragionevole: quella di lasciare dietro di sé il «sogno americano», e, con esso, anche il mito yankee.Le prove di tutto ciò si trovano nel testo poi dato alle stampe con il titolo di America primo amore. Il romanzo autobiografico, quasi un racconto di viaggio, tra l’altro era stato bocciato da Valentino Bompiani, che pure aveva un particolare fiuto nell’individuare i talenti emergenti.Nel novembre del 1929, Soldati s’imbarca sul "Conte Biancamano" per raggiungere i lidi statunitensi, dopo aver ottenuto, per intercessione del suo maestro Lionello Venturi, una borsa di studio alla Columbia University di New York. Giunge negli Usa all’indomani del crollo di Wall Street. Il suo corso di storia dell’arte italiana, alla Columbia, non gli schiude però la via per conquistarsi l’agognata cittadinanza americana. Dopo aver ottenuto lavori saltuari, come quello di sguattero in uno squallido locale della Grande Mela, decide di dare un taglio alla sua avventura di immigrato, e nel gennaio del ’31 se ne torna in Italia con le pive nel sacco. Ad affondare il suo sogno, contribuì probabilmente anche Giuseppe Prezzolini, il quale, come direttore della Casa Italiana della Columbia, aveva voce in capitolo nell’accogliere, e nel raccomandare, le ambizioni dei giovani letterati suoi connazionali che mettevano piede a New York.America primo amore, dunque, trasuda livore nei confronti del Paese da cui l’autore si è visto respinto, e ciò non poteva che vellicare le riserve che il fascismo nutriva nei confronti della civiltà dei consumi sorta nel Nuovo Continente: un modello di sviluppo che, non a caso, era andato a gambe all’aria proprio con la crisi del ’29.Ma c’è dell’altro. Il racconto soldatiano, riletto oggi, suona politicamente scorretto. Per la diffidenza che si coglie, nel contatto con la popolazione di colore che lo scrittore osserva con la coscienza della sua superiorità razziale. Disagio che si tramuta in sgomento, quando Soldati raggiunge in taxi il quartiere di Harlem brulicante di neri: «A sinistra e a destra, le case di questa via che il nostro taxi attraversa in velocità, sono piene soltanto di negri: negri che dormono nei loro letti, negri bambini che poppano, negri che fanno all’amore. Per blocchi e blocchi, non un pezzetto di pelle bianca». Ma, ripeto, è la civiltà americana, descritta come pervasa da una sottile malattia spirituale, se non morale, ad essere stroncata senza appello dall’amante deluso.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: