martedì 27 agosto 2013
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Se un certo realismo ispirato dalla crisi tinge oggi così tanti discorsi pubblici, nulla vieta di dissigillare i sogni personali più gelosamente custoditi. Soprattutto quando l’occasione è offerta dal cinquantenario del più celebre «I have a dream» mai lanciato verso cielo e terra. È nato così il più originale fra i libri francesi dedicati quest’anno allo storico discorso che Martin Luther King pronunciò il 28 agosto 1963 a Washington, davanti a 250 mila astanti assetati di giustizia civile e libertà per l’America dei segregati e umiliati. L’editore cattolico transalpino Bayard ha chiesto a 11 personalità di agganciare il proprio sogno più caro a quello del reverendo King. E alla sfida, intitolata Facciamo un sogno..., hanno risposto vegliardi di fama mondiale come l’arcivescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu e lo scrittore statunitense di cultura ebraica Elie Wiesel, premi Nobel per la Pace rispettivamente nel 1984 e nel 1986, o l’egiziano Boutros Boutros-Ghali, accanto al francese Stéphane Hessel, l’autore di Indignatevi!, opuscolo d’impegno civile divenuto recentemente un successo editoriale planetario. Dopo aver promosso negli anni Novanta un’"agenda per la pace" come ex segretario generale dell’Onu, Boutros-Ghali, nato in una famiglia di cristiani copti, riflette sul suo Egitto. E di fronte agli sconvolgimenti in corso, il diplomatico sfodera una vena utopista: «Sogno un nuovo faraone. Sogno che emerga un capo con l’immaginazione necessaria per rivolgersi all’opinione pubblica e affrontare direttamente i due problemi dell’esplosione demografica e dell’accesso all’acqua». Ma anche nel migliore dei casi, chiosa poi Boutros-Ghali, all’Egitto «occorreranno decenni di convalescenza» sullo sfondo di un mondo dove anche gli «attori non statali», comprese le religioni, dovranno contare all’Onu. Il messaggio del domenicano francese Henri Burin des Roziers, soprannominato "l’avvocato dei senza terra brasiliani", appare più direttamente nel solco di King: «Sogno che cambi questo modello di sviluppo agricolo basato sull’agro-business e la produzione industriale di alcuni prodotti di monocoltura per l’esportazione (soia, bestiame, canna da zucchero). Poiché provoca l’espulsione dei piccoli agricoltori, la violenza contro i lavoratori rurali, la concentrazione gigantesca delle terre, la migrazione verso la periferia delle città, lo sfruttamento della manodopera agricola fino alle forme di schiavitù contemporanea, la distruzione della natura e il disastro ecologico». In un testo succinto scritto appena prima della recentissima scomparsa, anche Hessel impiega accenti forti: «Sogno di veder fiorire una gioventù coraggiosa contro la potenza delle oligarchie». In Europa e altrove, «occorre che le risorse raccolte siano meglio distribuite. Ciò deve essere l’obiettivo di ogni democrazia sociale». Dopo aver ricordato quanto Giovanni Paolo II l’abbia influenzata, la franco-polacca Maria Nowak, grande specialista internazionale del microcredito, punta a sua volta su una «Perestroika del capitalismo», nel quadro di un «mondo nuovo dove la democrazia economica possa sostenere la democrazia politica e proteggerci dalle derive della finanza». L’israeliano Amos Oz, scrittore simbolo degli sforzi di pace in Medio Oriente, attende invece un «segno che mi mostrerebbe che tutto è diventato normale fra israeliani e palestinesi: quando li vedrò sedersi assieme a una stessa tavola e ridere assieme di tutte le stupidaggini del passato». Di bambini ed etica nello sport scrive il campionissimo Michel Platini, oggi al timone della Uefa: «Sogno che i genitori non puntino troppo sul calcio come carriera per i loro figli, ma che ricordino che l’importante è la passione e che si può amare il calcio senza necessariamente diventare un buon calciatore». Nella rosa degli autori, figurano pure due scienziati popolari in Francia, il neurologo Boris Cyrulnik e l’astrofisico André Brahic, che scoprì i quattro anelli di Nettuno, battezzandoli subito "Coraggio", "Libertà", "Uguaglianza" e "Fratellanza". Ma una vibrazione ancor più personale è percepibile nell’intervento del fotografo iraniano Reza Deghati, in arte Reza, instancabile viaggiatore nelle zone di conflitto di mezzo mondo: «Ho letto diverse volte il discorso di Martin Luther King. All’università e pure nella prigione dello Scià. Ero allora prigioniero politico, durante la guerra in Vietnam. Noi prigionieri non avevamo il diritto di possedere libri. Ma uno di noi conosceva a memoria parti del discorso di Martin Luther King e ce le recitava. Era commovente, soprattutto nelle condizioni in cui vivevamo. Si comprenderà quanto la parola "sogno" sia stata sempre importante per me. Ho sempre pensato che sia il seguito della realtà, che a forza di sognare qualcosa, ciò possa accadere. Ha una tale potenza».
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