martedì 31 maggio 2016
Il punto sulle innumerevoli istituzioni concertistiche che animano i territori Sabato prossimo un confronto sull’ultimo decreto che regola i contributi: «È un testo che penalizza la qualità».
Classica, il futuro suona in società
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Pragmaticamente si definiscono «quelli che riempiono i vuoti lasciati sul territorio dalle grandi istituzioni ». Con un’immagine che si colora di speranza, nonostante le nubi nere che si addensano all’orizzonte specie sul fronte economico, si raccontano come «i luoghi che, aprendo le porte ai giovani, ospitano il futuro della musica». Sono le società concertistiche. Sparse in tutta Italia, nelle grandi città e nei piccoli centri. Una novantina quelle riunite nelle due associazioni di categoria: settantasei nell’Aiam, l’Associazione italiana attività musicali e tredici nell’Aiac, l’Associazione italiana attività concertistiche. Ma sono centinaia e centinaia le realtà che diffondono la musica classica. Le società concertistiche si sono date appuntamento per sabato a Mantova. “Oltre il decreto. Quale futuro per le società concertistiche in Italia?”, il titolo del convegno che sarà ospitato alla biblioteca Teresiana. Racconti di esperienze di chi quotidianamente cerca di diffondere capillarmente sul territorio la musica da camera. Ma anche un’occasione per far incontrare musicisti e operatori del settore. Perché il convegno si svolge nell’ambito del festival “Trame sonore”, in cartellone nella città lombarda, Capitale ita- liana della cultura per il 2016, da domani a domenica.  «In Italia l’attenzione sulle società concertistiche sta calando perché ci si concentra sulle fondazioni liriche e sulle grandi istituzioni concertistiche», spiega Carlo Fabiano, direttore artistico dell’Orchestra da camera di Mantova, l’istituzione che organizza il festival e che ha promosso il convegno di sabato. Il decreto del titolo è quello del 1 luglio 2014 con il quale il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo ha stabilito, come si legge nel testo pubblicato in Gazzetta ufficiale, i “Criteri per l’erogazione e le modalità per la liquidazione e l’anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo”. Un testo che disciplina prosa, musica, danza, circhi e spettacoli viaggianti e che vincola i contributi alla presentazione di progetti con validità triennale, introducendo parametri quantitativi e qualitativi per la ripartizione del Fondo unico per lo spettacolo. «Un decreto sbagliato nel suo impianto perché nonostante nell’articolo 2 siano enunciati otto criteri strategici tutti riferiti alla qualità della proposta musicale, alla prova dei fatti, nella redistribuzione dei contributi, entra solo un aspetto quantitativo», racconta Antonio Magnocavallo, presidente della Società del quartetto di Milano, anticipando i nodi del suo intervento. «La qualità nei parametri per l’assegnazione dei contributi pesa per un 30%, il resto è tutto fatto di indicatori quantitativi come il tasso di riempimento delle sale. Ma un conto è riempire al 70% una sala da 1400 posti, un altro è farlo in una che può contenere un centinaio di persone. Tutto questo ha indotto le società concertistiche a presentare progetti corposi in termini numerici. Ma non è detto che quantità sia sinonimo di qualità», riflette Magnocavallo guardando ai tre sottoinsiemi in cui le società concertistiche sono state divise per la ripartizione dei contributi. Ci sono 18 enti che ricevono mediamente contributi pari a 355mila euro annui, quaranta istituzioni ricevono circa 90mila euro, il resto della quota del Fus destinata alla musica da camera se la dividono centinaia di enti. «E nel secondo sottoinsieme – nota il presidente Magnocavallo – ci sono istituzioni storiche che sono garanzia di qua-lità, declassate a scapito di altre organizzazioni che hanno presentato progetti quantitativamente corposi». Basterebbe un decreto del direttore generale del ministero che corregga il tiro sul peso degli elementi qualitativi nella ripartizione di fondi, suggerisce Magnocavallo che guida il Quartetto, storica associazione fondata nel 1864. E continua a legare il tutto a cifre e numeri, tanto che se una società ha un bilancio in attivo rischia di non percepire interamente il contributo stanziato. Anche per questo dal convegno di Mantova uscirà un documento che verrà portato sul tavolo del ministro Franceschini: premiare effettivamente la qualità, introdurre il parametro del rapporto tra numero di spettatori e numero di concerti e quello dell’incasso medio per spettatore le idee che già circolano tra gli operatori del settore. Il rischio, però, è che tutto si trasformi in una guerra tra “poveri”. Perché una grande fetta del Fus se la prendono le fondazioni liriche. «Le leggi da sempre tendono a favorire le grandi istituzioni. Ma in Italia sono moltissimi i soggetti che diffondono la musica. E che meritano sostegno», riflette Loris Azzaroni, presidente dell’Accademia filarmonica di Bologna – anno di fondazione 1666 – che a Mantova racconterà il progetto di rilancio dell’Orchestra Mozart. «La formazione fondata da Claudio Abbado nel 2004 nel 2014 ha chiuso i battenti. In molti ci hanno chiesto di farla ripartire. Prima di tutto i musicisti, che abbiamo raccolto intorno al progetto Risuona», spiega Azzaroni che racconta come l’Accademia abbia scelto di cambiare prospettiva. «Non siamo partiti chiedendo contributi al ministero – dice il presidente –, ma proponendoci al pubblico per quello che sappiamo fare, cioè la musica, e chiedendo di sostenerci. Due i progetti, uno di fundraising destinato alle imprese, la classica sponsorizzazione. Ma anche uno di crowdfunding, rivolto a tutti, anche ai singoli spettatori che vogliono sostenere l’orchestra: la donazione minima è di 5 euro».
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