sabato 25 luglio 2020
In due nuovi libri il filosofo sloveno indaga anche il senso del “noli me tangere” dalla sua prospettiva di «cristiano ateo»
Innamorati in mascherina a Parigi

Innamorati in mascherina a Parigi - Reuters/Gonzalo Fuentes/File Photo

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Noli me tangere. «Non mi toccare» o, secondo le interpretazioni più recenti dei biblisti, «Non mi trattenere ». Le parole che, come si legge nel Vangelo di Giovanni (20,17), Gesù risorto disse a Maria Maddalena dopo che lei l’ebbe riconosciuto, a voler significare che ha quasi concluso la sua avventura terrena e si prepara ad ascendere al cielo, forniscono lo spunto al filosofo Slavoj Žižek per una intensa riflessione sulla pandemia nel suo ultimo libro Virus, già disponibile in formato ebook e in libreria a partire dal prossimo 6 agosto (Ponte alle Grazie, pagine 224, euro 16; versione ebook in promozione a 2,99 fino al 28 luglio). Il capitolo dedicato all’episodio evangelico costituisce l’introduzione del volume e così il pensatore sloveno spiega: «Io, un cristiano ateo dichiarato, come interpreto questa frase? Anzitutto, la interpreto in relazione alla risposta data da Cristo al discepolo che gli domanda come avrebbero saputo che era tornato, risorto – Cristo dice che sarà lì ogni volta che i credenti si riuniranno nello spirito d’amore. Sarà lì, non come una persona tangibile, ma nella forma del legame d’amore e solidarietà fra le persone. Oggi, però, nel pieno dell’epidemia di coronavirus, siamo tutti martellati dai moniti a non toccare gli altri e, anzi, a isolarci, a mantenere una distanza fisica adeguata – rispetto al “ noli me tangere”, tutto questo cosa comporta? Le mani non possono raggiungere l’altra persona, soltanto dall’interno possiamo avvicinarci gli uni agli altri – e la finestra a cui si affaccia la nostra “interiorità” sono gli occhi. In questi giorni, quando si incontra un conoscente (o persino un estraneo) e si mantiene la giusta distanza, guardare profondamente l’altro negli occhi può rivelare più di un contatto intimo ». In poche parole, il distanziamento impostoci dalla pandemia è un invito a riconoscere il mistero profondo che abita in ogni uomo o donna che incontriamo, «soltanto ora che debbo evitare molti fra coloro che mi sono vicini sento pienamente la loro presenza, quanto sono importanti per me».

Poiché Žižek non è certo un ingenuo, tiene subito a precisare: «Già mi pare di sentire una risata cinica: va bene, raggiungeremo pure momenti di grande prossimità spirituale, ma questo come ci aiuterà a fronteggiare la catastrofe che ci ha colpiti? Impareremo qualcosa?». E cita più volte Hegel, secondo il quale gli uomini non imparano niente dalla storia, per cui l’epidemia non ci renderà più saggi. Ma la visione di Žižek si fa più radicale, nella convinzione che il coronavirus «demolirà i fondamenti della nostra vita». Difficile tornare alla normalità: «La nuova “normalità” dovrà essere ricostruita sulle macerie della vita di una volta, oppure ci ritroveremo in una nuova barbarie di cui già si scorgono distintamente le prime avvisaglie». Oltre che affrontare seriamente l’emergenza sanitaria, dovremo essere capaci di rispondere a questa domanda: «Che cosa proprio non va nel nostro sistema?». Žižek ripercorre l’allarme suscitato negli anni scorsi dalle epidemie di Sars e di Ebola, con gli scienziati che ripetevano che prima o poi saremmo stati colti da una nuova più grave epidemia. Eppure ci siamo trovati impreparati e solo i film apocalittici, come il sorprendente e purtroppo profetico Contagion di Steven Soderbergh, del 2011, coglievano nel segno. «Questa realtà – commenta Žižek, che nelle sue analisi della società contemporanea spesso prende spunto dalla letteratura o dal cinema – non segue nessuno dei copioni già scritti per i film, eppure abbiamo un disperato bisogno di nuove sceneggiature, di nuove storie che forniscano a tutti noi una sorta di “mappatura cognitiva”, un’idea realista e al contempo non catastrofica della strada da imboccare. Abbiamo bisogno di un orizzonte di speranza, abbiamo bisogno di una Hollywood post-pandemica». Ecco perché non è strano che Žižek inizi la sua riflessione con una citazione dal Vangelo e che a un certo punto del libro ricordi la famosa frase di Martin Luther King più di mezzo secolo fa: «Possiamo essere giunti qui con navi diverse, ma ora siamo tutti sulla stessa barca». Parole pronunciate quasi identicamente, con grande emozione, da papa Francesco nella preghiera sul sagrato di piazza San Pietro il 27 marzo, con la richiesta al Signore di «non lasciarci in balia della tempesta».

Ed è altresì curioso che qualche anno fa un altro filosofo, il francese Jean-Luc Nancy, si sia interrogato sul significato dell’espressione Noli me tangere in un libro così intitolato, uscito da Bollati Boringhieri nel 2003, ove sostiene che l’invito a Maria Maddalena non è altro che un monito a comprendere che nella dialettica dell’amore «tu non puoi trattenere niente» perché l’amato non va posseduto, come avviene nella dinamica dell’erotismo sfrenato. Non credente e neomarxista convinto, eppure dichiaratamente cristiano, come emerge anche da un altro suo libro proprio in questi giorni riproposto, La fragilità dell’assoluto. Ovvero perché vale la pena combattere per le nostre radici cristiane ( Transeuropa, pagine 168, euro 15), Žižek a partire dallo studio di san Paolo intende elaborare una terza via fra liberalismo e fondamentalismo, il “materialismo cristiano”, e rilancia la concezione paolina dell’agape che, oltre a un’innegabile componente spirituale, contiene una fortissima ansia di rinnovamento politico. Per il nostro filosofo il cristianesimo diventa una contro-etica, una forza traumatico- profetica che destabilizza l’ordine sociale esistente. In nome di che cosa? Del senso di comunità: «Rifiutando di ripagare il male con il male, vivendo in pace e condividendo i beni, la Chiesa testimonia del fatto che esiste un’alternativa a una società basata sulla violenza o sulla minaccia della violenza».

Qualche anno fa sulle pagine di Agorà un’inchiesta di Lorenzo Fazzini indagò la fine del fenomeno dei teo-con, ovvero gli intellettuali che ai tempi di Bush jr. sostennero un’alleanza tra il pensiero neo-conservatore e quello religioso cristiano, e l’affacciarsi dei teo-pro: «Rigorosamente non credenti e decisamente progressisti, essi prendono sul serio il pensiero teologico cristiano (soprattutto quello di san Paolo) e lo trasformano in un dibattito filosofico nuovo e propositivo per l’Occidente». Fra i teo-pro nemici del pensiero debole e del nichilismo veniva citato proprio Žižek, oltre ad Agamben e Badiou. Commentava il teologo Pierangelo Sequeri: «Finalmente anche l’intellighenzia laica esce dal conformismo. La metafora assoluta del cristianesimo, ossia l’incarnazione di Dio come unica salvezza possibile, e l’ingiunzione simbolica dell’amore del prossimo, che la indica come l’unica verità storica destinata a valere assolutamente, fanno un altro effetto anche ai pensatori non credenti, nella cornice dello spappolamento delle ideologie». L’amore al prossimo di cui parla Žižek nel volume di Transeuropa è quello raccontato in certi film come Le onde del destino di Von Trier o Film blu di Kieslowski, in cui le protagoniste donne sono capaci di dire sì alla vita dopo aver attraversato immensi dolori. Quell’agape che sconvolge «la logica circolare della vendetta o del castigo, in uno sganciamento che non ha nulla a che spartire con la fuga in un idealizzato universo romantico, in cui scompaiono come per magia tutte le differenze sociali concrete – per citare Kierkegaard: “L’amore crede a tutto, eppur mai viene ingannato”».

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