martedì 8 luglio 2014
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Come cambia il mondo. A volte certe trasformazioni in seno a un Paese le percepisci meglio su un campo di calcio che dalle strategie politiche che, in un preciso momento storico, magari adotta il suo governo. Così da questo Mondiale abbiamo appreso una volta di più che il calcio di poesia - di pasoliniana memoria - , quello brasiliano, con il tempo è diventato prosaico e speculare, mentre quello tedesco, da wagneriano e summa atletica dello Sturm und Drang, all’improvviso ha indossato i panni variopinti di un cocorito, specchiandosi estetico e compiaciuto nella sua esotica multietnicità. Perciò questa sera a Belo Horizonte, non cercate la magia della bella giocata o il gesto poetico dai ragazzi in verdeoro del generale Felipao Scolari, ma piuttosto aspettatevi tutto ciò dalla truppa del bohemien Joachim Loew. Oh intendiamoci, la nuova Germania del pallone non ha perso del tutto lo spirito del rigido cameratismo, ma è stata forgiata con dell’acciaio più morbido che è frutto delle commistioni e degli innesti dei “G2”, i tedeschi figli di stranieri nati e cresciuti su suolo alemanno. Mettendo prodotti di cantera nordica, ma dai cognomi afro-turchi come Boateng, Khedira e Ozil, la Germania fa 13. Tante sono le volte che la selezione tedesca entra tra le prime quattro del mondo.Il Brasile per 11 volte è arrivato nella “top-for” iridata, vincendo cinque titoli mondiali, contro i tre della Germania. Quindi si potrebbe anche dissentire sulla massima abusata dell’inglese Gary Lineker che sentenziò (forse inconsapevole): «Il calcio è quello sport che si gioca in 22 e alla fine vince la Germania». Non è proprio così, anche perché l’ultimo successo dei tedeschi risale proprio alla discussa finale di Roma (vinta con un calcio di rigore dubbio, contro l’Argentina di Maradona), ma la selezione di Loew ora si presenta con due record di tutto rispetto: quarta semifinale mondiale di fila e i 15 gol segnati dal vecchio bomber “Mito” Klose nelle quattro edizioni a cui ha partecipato.Al suo fianco gioca un’eminenza tra i cecchini, Thomas Müller (capocannnoniere a Sudafrica 2010, 4 gol sinora realizzati) e in regia ci si aspetta finalmente il valore aggiunto di Gotze, che finora ha un po’ latitato. Ma è l’eccezione di un gruppo molto in palla, accordatissimo e che va sempre in gol, mentre ne subisce pochi (3, due con il Ghana), anche perché in porta hanno la migliore saracinesca del pianeta, Neuer. Il Brasile invece si presenta all’appuntamento più importante senza il suo capitano, Thiago Silva - squalificato - , ma soprattutto privato del suo idolo popolare, Neymar, fatto fuori dalla ginocchiata del colombiano Zuniga. «Mi dispiace terribilmente per Neymar - dice uno sportivissimo Loew - . È un peccato che il Brasile debba fare a meno di due dei suoi migliori giocatori, ma sarà in grado di rimpiazzarli. Quando si incassa un duro colpo, spesso si trovano energie ulteriori e inattese. Il nostro progetto - conclude il ct tedesco - non è ancora giunto al termine, l’obiettivo è chiaro: tornare a giocare al Maracanà la finale del 13 luglio».Quella data è scritta da sette anni (da quando sono stati assegnati i Mondiali) sui calendari appesi nelle case di 200 milioni di brasiliani che con la loro “passione-Torcida” questa sera proveranno ancora a spingere al successo la Seleçao. Il “povo” del futebol è consapevole che questo Brasile non è forte e spettacolare quanto quello del 2002 che Ronaldo portò sul tetto del mondo. È una Seleçao a tratti catenacciara (il comandamento palla in tribuna va bene quanto palla in rete) a trazione posteriore con i centrali difensivi David Luiz e Thiago Silva diventati goleador per necessità e per “grazia ricevuta” dal Corcovado.Manca la fantasia, ma questa classe operaia brasilera così concreta è assai affine al lulismo, resta da capire se sarà in grado di dare un dispiacere alla inossidabile Germania della supertifosa frau Merkel. Questa sera, il mondo saprà.
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