domenica 30 aprile 2017
Il segretario di Stato vaticano ricorda il ministro pachistano, ucciso nel 2011 perché cristiano, portando alla luce la spiritualità quotidiana di uno dei "nuovi martiri" contemporanei
Shabhaz Bhatti, ministro federale delle Minoranze del Pakistan, ucciso il 2 marzo 2011

Shabhaz Bhatti, ministro federale delle Minoranze del Pakistan, ucciso il 2 marzo 2011

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Ci sono persone che sono disposte a morire per l’ideale in cui credono. Tra queste c’è Shahbaz Bhatti, ministro federale delle Minoranze del Pakistan, ucciso il 2 marzo 2011 a Islamabad da uomini armati. L’ideale di Shahbaz Bhatti non era però una semplice idea, non un mero valore, seppure nobile ed elevato. Era ciò che i cristiani hanno di più caro, ovvero Cristo stesso. «Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire», scriveva nel suo testamento spirituale. Di Shahbaz conoscevamo alcuni dettagli della vita pubblica, ma non sapevamo del suo universo interiore. Con il libro Shahbaz. La voce della giustizia (San Paolo), suo fratello Paul ce lo rende familiare, descrivendolo nella sua intimità, nella sua esistenza quotidiana, mostrandone i progressi umani e spirituali. Pagine scritte con le lacrime agli occhi e con un velo di amarezza, mitigate però dalla certezza che la fede di Shahbaz non è venuta mai meno. Perfino nei momenti più bui, quando le minacce e l’odio cercavano di porre fine alla sua missione di cristiano e di politico. Un politico nel vero senso del termine, che aveva scelto il Vangelo come stile di vita e ad esso improntava il suo operare. Nel suo testamento, in parte consegnatoci in questa biografia, ha lasciato frasi indimenticabili, che esprimono la profondità della sua intima relazione con Cristo. Fin dall’infanzia Shahbaz, secondo il racconto di Paul, ha cercato ciò che unisce e non ciò che divide. Ha sempre avuto a cuore la sorte dei più poveri, dei più deboli, degli ultimi. Tra questi, un posto particolare lo riservava alla minoranza cristiana del Pakistan. Nell’adempiere la sua missione, è stato un promotore sincero del dialogo interreligioso, dell’ecumenismo e della pace tra i popoli, mostrando che solo il confronto aperto può educare le nuove generazioni all’ascolto, alla tolleranza e alla pacifica convivenza. Una certezza che trova conferma nelle parole del testamento di Shahbaz, che risuonano come un programma di vita: «Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: “No, io voglio servire Gesù da uomo comune”». Servire Cristo in semplicità e umiltà, mettendosi in discussione, senza tirarsi indietro di fronte alle potenze del mondo, consapevole che niente e nessuno avrebbe potuto strapparlo dalla mano del suo Signore. È con questa fede granitica che Shahbaz ha saputo far fronte alla violenza e all’odio. La lettura di questo volume, che vuole essere anzitutto un contributo alla ricerca della pace e della giustizia, non mancherà di arricchire il lettore. Tramite queste pagine, Shahbaz Bhatti ci aiuta a non dimenticare i cristiani del Pakistan e le loro difficoltà, e continua il suo impegno per la convivenza civile e la mutua comprensione tra le religioni nella sua Patria, che ha sempre amato e servito.

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