domenica 5 luglio 2020
In "Bergoglio o barbarie" il giornalista traccia un'analisi della geopolitica di Bergoglio, unica alternativa a sovranismi e imperialismi neoliberisti
Papa Francesco celebra la Messa a Lampedusa, l'8 luglio 2013

Papa Francesco celebra la Messa a Lampedusa, l'8 luglio 2013 - ansa

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«L’alternativa a Bergoglio è la barbarie». Una frase sussurrata in confidenza da un amico teologo che insegna negli Stati Uniti è la scintilla che accende la riflessione sulla geopolitica (e non solo) di papa Francesco. In Bergoglio o barbarie. Francesco davanti al disordine mondiale (Castelvecchi, pagine 224, euro 16,50) di Riccardo Cristiano – vaticanista e prima ancora corrispondente Rai dal Medio Oriente – lo sguardo sul cortile del nostro villaggio globale è illuminato da una ferma quanto drammatica convinzione: o Bergoglio, unico leader mondiale capace di indicare una visione globale, o barbarie.

L’assonanza con Socialismo o barbarie di Rosa Luxemburg – come ben tratteggia nella prefazione Marco Impagliazzo – non è casuale per Cristiano che non nasconde la sua gioventù da militante socialista e che – per “deformazione professionale” consueto osservatore delle relazioni internazionali, come delle religioni – nella sua appassionata e diuturna ricerca, si dice agnostico. «È questo il bivio dell’oggi – scrive: – Da una parte la civiltà del pluralismo, del vivere insieme; dall’altra i cantori delle barbarie post-moderne, nelle quali le asce sono sostituite da radar, o da iPhone». Un bivio decisivo e ineludibile dopo che, con l’11 settembre del 2001, è scoppiata la «tempesta identitaria che ci avvolge».

La civiltà levantina («percepire un’appartenenza comporta per me percepire le altre») è stata, per l’autore che si definisce un cittadino del Mediterraneo, un’appartenenza fondata sul pluralismo ora minata da una cultura dell’odio del diverso e dalla costruzione di muri lungo i confini. Per questo si staglia l’importanza politica del magistero di Bergoglio che, secondo Riccardo Cristiano, trova una sua realizzazione nelle «piazze interconfessionali» di Baghdad e Beirut, del dicembre 2019. Un movimento spontaneo in Medio Oriente per cercare, contro la crisi politica e la corruzione, un vivere insieme. Piccole primavere simboliche («luogo teologico»), auspica l’autore, di una seconda globalizzazione dei diritti, che «non divide le civiltà, ma le unisce nelle cittadinanze».

Il caposaldo, in questo mappamondo secondo Francesco, è il Documento sulla fratellanza umana e la pace mondiale firmata ad Abu Dhabi da papa Francesco e dall’imam di al-Azhar, Ahmad al Tayyeb. La prospettiva è quella di una laica «teologia dei popoli» basata su «pluralismo, cittadinanza, fratellanza». Una teologia scritta, appunto, in luoghi-simbolo come il confine tra Messico e Stati Uniti, a Lampedusa e a Lesbo, in Centrafrica – «capitale spirituale» dell’umanità nell’anno del Giubileo – come nei campi profughi dei musulmani Rohingya nel Bangladesh. Tutti luoghi visitati da Bergoglio.

Così alla fine «se non sei un illiberale o un intollerante posso dirti che tutto quello in cui abbiamo creduto nel secolo scorso, i diversamente fautori del trend liberale, oggi si ritrova in queste poche parole: “Imparare a vivere insieme”». L’assonanza con l’“I have a dream” di Martin Luter King sorprende. Un sogno a cui, implicitamente, tutti sono chiamati a concorrere nella prospettiva del Regno di Dio, dentro e fuori le Chiese e le religioni. Nessuno storca il naso: non c’è pretesa di ortodossia teologica o di sistematicità di pensiero. Semmai un prezioso diario politico, testimonianza di un laico che ripete spesso di aver trovato casa sotto il tetto del vescovo di Roma.

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