domenica 15 maggio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
INVIATO ATORINO Per chi non lo sapesse, il mancino zoppo è il fidanzato della traviata. «Ma non quella di Verdi – precisa subito Michel Serres –. Immagini una donna che non prende mai la strada segnata, ma avanza sempre di traverso, preferendo scorciatoie e deviazioni rispetto al sentiero segnato. Ecco, lei per me è la vera traviata». Accademico di Francia e storico della scienza con la passione per la letteratura, a settembre Serres compirà 86 anni di giovanile entusiasmo. Il saggio che presenta al Salone internazionale del Libro si intitola appunto Il mancino zoppo (traduzione di Chiara Tartarini, Bollati Boringhieri, pp. 300, euro 18) e rappresenta un’ulteriore tappa nell’esplorazione dei «saperi dolci» che stanno rivoluzionando il nostro presente. Un testo ricchissimo di spunti e di ragionati giochi di parole, a partire da quello che l’autore costruisce sulla natura palindroma del suo cognome. Al centro di tutto la confluenza del verbo francese naître, «nascere», in connaître, «conoscere»: «Nelle lingue neolatine – spiega Serres – ci sono queste magnifiche parole incoative, che indicano l’inizio e lo sviluppo di un processo. 'Adolescenza', per esempio, oppure 'efflorescenza'. Bene, noi oggi siamo in piena hominescence ». Prego? «È un termine di mia invenzione, credo si possa tradurre come 'ominiscenza'. Significa che si sta formando un’umanità nuova, con un’aspettativa di vita impensabile fino a poco tempo fa. La Terra non è mai stata così popolata e, in percentuale, i contadini non sono mai stati così pochi. Si rende conto della trasformazione che questo comporta per le relazioni tra le persone? E poi le tecnologie, la meraviglia del maintenant ». Vuol dire del presente? «Questa volta la traduzione non aiuta, purtroppo. Maintenant vuol dire 'adesso', ma in francese l’immagine rimanda all’afferrare qualcosa, al tenere stretto l’attimo che passa. Proprio come facciamo in ogni momento con i nostri smartphone. Abbiamo tutto in pugno, informazioni e indirizzi, non c’è più luogo che sia irraggiungibile. Augusto, imperatore di Roma, non ha mai avuto una facoltà simile, né l’ha avuta l’imperatore di Francia, Napoleone. Ciascuno di noi, in qualsiasi istante, ha più potere dei grandi del passato». Mi scusi, ma anche la Rete ha i suoi imperatori. «I padroni dei dati, giusto. Problema cruciale, per la cui soluzione si oscilla solitamente fra due estremi. Non è opportuno che le informazioni sensibili siano proprietà di una multinazionale privata come Google, si dice. E allora che cosa facciamo? Trasferiamo tutto allo Stato? Ma lo Stato può essere una dittatura, può servirsene per controllare e perseguitare». Quindi siamo in trappola? «Non sia tanto pessimista. Si potrebbe istituire una figura intermedia tra il cittadino e lo Stato, qualcuno che svolga la stessa funzione in altri campi affidata ai notai. Già che ci siamo, propongo la definizione di 'dataio': un garante al quale conferire le informazioni personali, mettendole al riparo da ogni forma di invadenza, pubblica o privata che sia». Il personaggio centrale del suo libro è mancino e anche zoppo: una doppia mancanza? «Dalla mancanza occorre ripartire oggi. Dalla debolezza e dalla piccolezza. Me ne sono reso conto quando ho cominciato a tessere l’elogio di Pollicina, creatura minuscola e irresistibile. L’esatto contrario di Superman, di Tarzan e degli altri eroi esaltati dai film d’azione: grandi, grossi e stupidi. Anzi, tanto più stupidi quanto più si considerano potenti. Non è di loro che abbiamo bisogno in questa fase di ominiscenza. A noi servono uomini, non superuomini. La salvezza verrà da chi è più debole, da chi corre il rischio di affrontare le biforcazioni alle quali il presente ci conduce in ogni momento. Mancini che scrivono con l’altra mano, zoppi che procedono di sbieco». Non sarà che lei è troppo ottimista? «Conosco bene la storia della scienza e le posso garantire che le grandi invenzioni sono sempre venute da ricercatori che stavano ai margini del sistema. Gli irregolari, gli outsider ». Anche Dio è un outsider? «Senza dubbio, visto che ha creato il mondo. Non è un’invenzione straordinaria, questa della vita? Albert Einstein, nel suo determinismo, era convinto che Dio fosse un determinista come lui. Per questo, diceva, l’Onnipotente non gioca a dadi. Ma se consideriamo il principio di indeterminazione proprio della fisica quantistica, dobbiamo ammettere che Einstein si sbagliava: Dio gioca a dadi ed è esattamente questo che rende possibile la nostra esistenza». Che cos’è per lei la santità? «La madre segreta del pensiero, la culla della debolezza e della mancanza da cui provengono Pollicina, il mancino zoppo, tutti gli eroi dell’ominiscenza che stiamo attraversando». E il virtuale? Che ruolo svolge in questo processo? «Quello che ha sempre svolto nella vita di noi esseri umani. Sto parlando con lei, qui a Torino, ma una parte di me è a casa, a Parigi. Non è una forma di virtualità? È per questo motivo che la letteratura mi interessa tanto. Nelle biblioteche ci sono tesori incommensurabili e invenzioni strepitose. Con le sue parole Dante ha forgiato l’Italia, Montaigne ha donato una lingua alla Francia, la Spagna non sarebbe se stessa se non ci fosse stato Cervantes. Siamo animali virtuali, la letteratura non fa altro che ricordarcelo». © RIPRODUZIONE RISERVATA Salone del Libro. Siamo nell’età dell’«ominiscenza», un’era completamente nuova in cui ciascuno ha più poteri di Napoleone. Parla il francese storico della scienza, ieri a Torino «Oggi non abbiamo bisogno di superuomini, ma di mancini, zoppi, pollicini... Perché le grandi invenzioni sono sempre venute dagli irregolari e dagli outsider Dio compreso» OTTIMISTA. Michel Serres, accademico di Francia
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: