mercoledì 16 febbraio 2022
Il racconto della regista Elisa Fuksas: il set con lei è stato un corpo a corpo, ma mi ha insegnato la libertà e a vivere divertendosi. Un ritratto insolito dell'artista sul set di Castrocaro
La regista Elisa Fuksas e Ornella Vanoni sul set di "Senza fine".

La regista Elisa Fuksas e Ornella Vanoni sul set di "Senza fine".

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Un docufilm sui generis, più film che documentario classico su Ornella Vanoni, monumento musicale nazionale, a 87 anni ancora in piena attività (61 album all’attivo). Un’opera a tratti irrisolta e illogica che, però, proprio in queste caratteristiche trova a sorpresa una sua magia. Arriva la prossima settimana nelle sale, dopo un passaggio al festival di Venezia nelle Giornate degli Autori, “Senza fine” (non poteva che intitolarsi così, forse), di Elisa Fuksas, regista e scrittrice che fa di un’intelligente originalità la sua cifra stilistica. Raccontare un personaggio simile, che ha lasciato Strehler e litigato con Mina attraversando decenni della storia italiana, è senza dubbio arduo. Complesso raccontare le mille sfaccettature di Ornella. Forse per questo il film, in uscita con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection, sceglie tutt’altra strada: abbandonati i canoni del biopic, a parte pochi filmati d’archivio, Fuksas, che del famoso architetto è la figlia (che a 40 anni ha trovato la fede e si è battezzata) si mette in scena quasi sullo stesso piano della cantante, sin dalla scena iniziale (in cui aspetta in un autogrill la Vanoni). E la ricerca inseguendola fin nella sua camera, in una sorta di corpo a corpo fra le due donne, negli ambienti vuoti e rarefatti di un hotel termale di Castrocaro, in una location fuori dal tempo come lo è la vita di un mito. Una scelta che contribuisce al clima della pellicola, piena di domande lasciate in sospeso e di ricordi a metà, immersi nella Milano di Jannacci, Gaber, Fo e Pozzetto; e alla costruzione di un ritratto senza veli anche per il fatto che – dato l’ambiente - la Vanoni è quasi sempre in costume da bagno (l'acqua è presenza dominante, elemento naturale da cui il mito-Vanoni emerge e a cui ritorna) e in una forma fisica che inganna l’età. «Ho avuto coraggio ­– ha detto l’artista -, mi mostro con il corpo alla mia età, mentre mi massaggiano la pelle in sfacelo o sto in acqua come Ondina, la mia cagnolina. Sono sempre stata una spudorata, una non formale, mi etichettavano così sin da giovane». Anche le presenze degli ospiti Vinicio Capossela, Samuele Bersani e Paolo Fresu passano quasi in secondo piano, elementi di contorno.

Elisa Fuksas, da dove nasce questo film sulla Vanoni?

Io non volevo farlo in realtà, ero super impegnata per così dire – racconta la regista anche lei con ironia - nell’elaborazione di quei film che da sempre vorrei fare. Mi chiama il produttore Malcom Pagani e mi espone il progetto. Ero super prevenuta perché non volevo fare un altro documentario.

Com’è stato il primo incontro con Ornella?

Le ho mandato la mia opera precedente “iSola”, girata col cellulare. Poi ci siamo viste a casa sua a Milano. E’ impressionante conoscerla la prima volta, ti travolge come un vulcano di energia: ti porta subito al bagno con lei, ti chiede del sesso, si mette a canticchiare. E ti incanta. Anche quando sbaglia le sue storiche canzoni perché dice che non se le ricorda o le cambia apposta perché – sostiene – ormai l’hanno annoiata. A proposito: nel film racconta che non ha mai capito il successo de “L’appuntamento”, l’ha sempre trovata una canzone molto triste.

Ornella e Vanoni sono due persone diverse?

No. Lei è come appare, con quella leggerezza di chi tanto ha vissuto. Non ho studiato il personaggio, anche perché non volevo fare una retrospettiva, ma dare una prospettiva. Mi ha mostrato delle foto sue e, vedendo le più datate, le ho detto: “Quanto eri timida”. L’aver capito che in lei c’era stato un prima e un dopo, ecco, questo ci ha “sbloccate”.

Cosa ha imparato da lei?

La sua vita e il suo canto incarnano la libertà. Mi ha fatto sentire molto più imprigionata in me stessa, ho capito che devo imparare a divertirmi. Ci siamo rispecchiate come due donne in età diversa, ma senza avere un rapporto materno o filiale.

È stato un film difficile?

Eravamo partite, io e Monica Rametta (la co-sceneggiatrice, ndr), da due pagine di soggetto. Doveva essere un road movie, in giro per l’Italia. Un giorno lei mi ha chiamata a Castrocaro dove stava, ho capito che era perfetto: un posto di memorie, ma che non fossero sole le sue, è come un luogo che ricorda un passato generale. Ma sul set tutto è saltato dal secondo giorno, i tempi si sono dilatati, lei a volte era disponibile solo 2 ore al giorno, era stanca, non scendeva per le riprese. Si è creato un caos che alla fine ho scelto di assecondare, è l’aleatorietà della situazione che ha generato il film.

Alla Vanoni è piaciuto il film?

Mi ha detto solo “un buon lavoro”. E si è stupita perché ho lasciato pure le nostre litigate.

Anche per questo ha scelto di essere così presente in scena?

Al di là dei precedenti più illustri che hanno fatto la stessa scelta, da Werner Herzog ad Agnes Varda, l’ho fatto perché mi è sembrato importante non lasciarla sola sul set. Perché è la presenza di noi umani che fa succedere le cose. Era un modo per dire “sono qui per farla conoscere a voi, totalmente spontanea”. E ho capito che il vero film consisteva proprio nel raccontare la difficoltà di realizzare una pellicola su di lei, anche attraverso il nostro rapporto.

Perché nei titoli di coda c’è un ringraziamento a Paolo Sorrentino?

È stato il primo a vedere il materiale grezzo. E ha dato la sua benedizione, sentenziando che “questo film ha una sua forza”.

Quali film sta progettando per il futuro?

Sto lavorando a uno tratto dal libro che ho scritto, “Ama e fai quello che vuoi”, che racconta la mia conversione alla fede cristiana, generata anche dalla grande paura che ho della morte. Spero proprio di farci un film.

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