mercoledì 16 gennaio 2008
Parla Alberto Strumia, matematico e teologo: «Una volta non si aveva nessuna paura a chiamare il fondamento di ogni sapere con il suo nome: Dio. Ma oggi non è di moda» «Già Gödel mostrò che la matematica non può essere in tutto autosufficiente. Non si può evitare il problema: prima o poi la benzina della "macchina scientifica" finirà».
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Esordiamo con la domanda di rito: ma è proprio vero che solo un ateo può divenire un buon matematico? Nel corso dell’inchiesta sulla compatibilità tra scienza e fede, Avvenire oggi intervista il professor Alberto Strumia, ordinario di Fisica matematica all’Università di Bari e docente incaricato di Teologia fondamentale alla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna. «Non sono io ma la storia a rispondere di no. L’elenco dei grandi matematici credenti (e in particolare cattolici) è ben più lungo di quello dei matematici dichiaratamente avversi alla fede. Ma non mi sembra questo il punto decisivo. Vorrei quasi capovolgere la domanda, spingendola più avanti. È possibile alla matematica, e in generale alla scienza, proseguire oggi il proprio cammino senza un "fondamento" assoluto, comunque lo si voglia chiamare? Ai tempi di san Tommaso d’Aquino (XIII secolo) non si aveva timore di chiamare il fondamento ultimo con il suo nome universale che è "Dio". Oggi si è molto più condizionati ideologicamente e non si usa volentieri questo nome, ma il problema dei ' fondamenti' della matematica, e più in generale della scienza, rimane la grande questione». Non è una questione filosofica più che scientifica? «Sì e no. No, perché, si tratta di un problema "interno" alla scienza e non di una sorta di aggiunta che i filosofi, o i teologi, vogliono imporle dall’esterno. Può la matematica e tutta la scienza, decidere da sola se è nella verità, essere "completa" ( il problema del matematico David Hilbert) oppure ha bisogno di un fondamento assoluto? E di questo fondamento si può sapere qualcosa, e come? Senza un fondamento assoluto – non arbitrario – anche la matematica e la scienza finiscono per cadere nel relativismo della cultura di oggi ( additato da Benedetto XVI come il grande problema del mondo contemporaneo) in cui tutto è opinione e niente è verità sicura, neppure il classico 2+ 2 fa 4. Kurt Gödel, uno dei più grandi logici matematici del XX secolo – proprio lui che aveva dimostrato nel 1931, con il suo teorema più famoso, che la matematica non è "completa" come invece sperava Hilbert – sosteneva che devono esserci addirittura delle proposizioni matematiche che sono valide in senso assoluto, senza alcuna ipotesi ulteriore. Proposizioni cosiffatte devono esistere, perché altrimenti non esisterebbero neppure i teoremi ipotetici'. Questa è la sfida di oggi: la questione dei fondamenti. Perché evitarla e procedere come se non ci fosse il problema, lasciando che la "macchina scientifica" vada avanti con la ' benzina' che ha ancora nel serbatoio, ma che prima o poi finirà? O, peggio ancora, consegnando la scienza alla strumentalizzazione da parte dei grandi poteri e dell’ideologia, che impongono un’etica sempre meno umana?» E invece in che senso si tratta di una questione anche filosofica? «È anche una questione filosofica nel senso che ormai la matematica non è più solo una teoria dei numeri come un tempo, ma ad esempio con la teoria degli insiemi è diventata una teoria che si occupa di ' oggetti' qualunque ( quelli che i filosofi chiamano ' enti') che non sono per forza solo i numeri. Certo il passaggio dagli "insiemi" agli "enti" nel senso pieno del termine richiede un lavoro ulteriore, ma è sempre più vicino e indispensabile. Oggi sono gli ingegneri che lavorano con i computer a parlare di "ontologia formale"! Si cerca di mettere a punto una "teoria degli enti", quella che i filosofi chiamano una metafisica, elaborata con gli strumenti della logica matematica odierna. E questo per far funzionare il computer e non per fare teologia! Ma forse un giorno questo lavoro darà frutti utili anche ai teologi… Però gli studi teologici dovranno recuperare un po’ più di teologia sistematica e non limitarsi alle opinioni degli autori contemporanei». La questione è essenziale per tutti, oltre che per gli specialisti? «Forse fino a una quindicina di anni fa si poteva anche pensare che la questione dei fondamenti non avesse a che fare con la vita di tutti i giorni e dei non specialisti. Oggi le cose cominciano a mostrare proprio il contrario. Pensiamo, ad esempio, alla difficoltà di stabilire che cosa sono i diritti della persona umana. Senza la base di una "metafisica" che abbia rigore scientifico, cioè sia riconoscibile da tutti come valida, che fondi quella che un tempo era chiamata la "legge morale naturale", non c’è speranza di mettersi d’accordo per varare una normativa che non sia frutto di un’operazione di potere di una parte dominante su un’altra, o almeno di un condizionamento culturale e ideologico. E questo vale su scala locale, nazionale e internazionale. La stessa democrazia, oggi, fatica a darsi delle regole condivise e non basta fare un referendum per stabilire se una norma è per l’uomo o è contro l’uomo. Ormai si vede bene che i vecchi meccanismi cominciano a incepparsi e la vita diventa sempre meno vivibile per i singoli e per la società civile. Perfino la finanza e l’economia di mercato, che sembravano inattaccabili, entrano in crisi». Ma come si fa ad orientarsi in una questione così difficile come quella dei fondamenti?«C’è molto da imparare, oltre che dai geni più vicini a noi, anche dai grandi geni del passato. Tra gli antichi Aristotele e Tommaso d’Aquino, e i moderni Cantor e Gödel ci sono molti più punti d’incontro di quanto si possa immaginare» .
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