mercoledì 23 settembre 2015
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La punteggiatura in crisi? No, almeno se ci fermiamo alla quantità. Basta leggere un sms del cellulare, un post lasciato su Facebook o un tweet cinguettato nel web per imbattersi in una “manna” di segni. Puntini di sospensione a iosa; punti esclamativi ovunque; punti interrogativi che si moltiplicano a ogni piè sospinto. Al contempo, però, il pianeta digitale ha come espulso altri “simboli”: il punto e virgola è ormai inesistente; i due punti vengono impiegati con una parsimonia che rasenta l’oblio; la virgola è inserita in modo talmente casuale da far pensare che se ne abbia una manciata da lasciare cadere sul testo a mo’ di acquazzone fortuito.  «Mentre si paventava la fine della civiltà scritta, la scrittura ha trovato uno sviluppo senza precedenti attraverso i social network – spiega Elisa Tonani, dottore di ricerca in storia della lingua italiana all’Università di Genova che ha curato una serie di studi sul rapporto fra punteggiatura e letteratura –. In queste piattaforme si registra un fiorire fino all’eccesso dei segni d’interpunzione: dai punti esclamativi e interrogativi, spesso associati insieme (!?), ai punti di sospensione. Si tratta di quei segni a cui si fa ricorso in maniera parca nella scrittura formale e che sono addirittura banditi dai testi legislativi, scientifici e tecnici. Invece traboccano in un tipo di comunicazione scritta che vuole essere il più possibile vicina alla confidenzialità del parlato». Un vezzo che interroga il romanziere e traduttore Paolo Nori.  «È un’abbondanza che, a pensarci così in astratto, non mi convince molto». Meno rigido Simone Fornara, docente di didattica dell’italiano all’Università-Supsi della Svizzera, che definisce la nuova prassi in Rete un’«esasperazione della funzione espressiva della punteggiatura». Ma c’è da tirare fuori la matita rossa? «Non cadiamo nell’allarmismo o nella preoccupazione – sostiene Fornara, autore di alcuni volumi per Carocci dedicati alla punteggiatura –. La grammatica della scrittura delle nuove forme di comunicazione è diversa da quella della scrittura formale. E in genere chi la usa, soprattutto il giovane di oggi, è ben consapevole che in altri contesti (come a scuola) è meglio evitarla».  Fornara e Nori saranno due dei numerosi “insegnanti” che parteciperanno al primo Festival della punteggiatura ideato proprio da Elisa Tonani. L’appuntamento è per venerdì e sabato a Santa Margherita Ligure: il primo giorno al mattino nelle scuole e dalle 16 nello Spazio aperto di via dell’Arco; il successivo, sempre dalle 16, nella Biblioteca civica. «Vogliamo portare la punteggiatura in piazza – annuncia l’esperta ligure – per farne percepire la familiarità e la vicinanza. La punteggiatura è di tutti perché tutti abbiamo bisogno di scrivere». Il tema è di moda negli ultimi anni. «Stanno fiorendo pubblicazioni specialistiche o divulgative – afferma Tonani – ma mancava una manifestazione collettiva che puntasse a dichiarare non solo l’importanza ma anche la bellezza della punteggiatura». Fornara allarga lo sguardo. «A livello internazionale esistono eventi interessanti. Negli Stati Uniti il 24 settembre di ogni anno si celebra il National Punctuation Day, la Giornata nazionale della punteggiatura. In Svizzera, nel Canton Ticino, il 4 dicembre degli ultimi due anni è stata organizzata la Giornata della punteggiatura per gli alunni delle elementari».  Prima di tutto va preso atto che il profluvio dei segni d’interpunzione non è sinonimo di qualità. «La loro gestione è uno dei nodi critici della scrittura di oggi in quanto si lega da vicino alla capacità, o all’incapacità, di costruire bene un testo scritto – osserva il docente svizzero –. Essi non rappresentano un’aggiunta secondaria alla parola scritta, ma sono profondamente collegati alla struttura del testo. Potremmo dire che costituiscono i bulloni sui quali si regge tutta l’architettura: senza di essi, l’edificio crollerebbe ». Come leggere, allora, la mancanza di una buona padronanza della punteggiatura? «È la spia del fatto che non si ha l’attitudine ad articolare il pensiero in un discorso chiaro, coerente, compiuto », evidenzia Tonani. E indica quello che è il problema di fondo. «Siccome la punteggiatura è il settore della lingua meno codificato, si pensa di poterla inserire a posteriori. Come se un semplice segno spostato non avesse il potere di cambiare il senso di un discorso e con esso la temperatura emotiva. Sono vivo e vegeto è ben altra cosa da Sono vivo. E vegeto».   Di sicuro occorre scardinare un assioma che si apprende fra i banchi di scuola. «È l’assunto che la punteggiatura riproduca le pause del parlato – fa sapere la cultrice dell’ateneo ligure –. Questo induce, tra gli altri rischi, a fare l’errore tradizionalmente più sanzionato in classe, cioè mettere una virgola tra soggetto e verbo». Chiarisce Fornara: «In realtà la punteggiatura serve a marcare gli snodi logici, sintattici e semantici del testo. Le pause del respiro sono solo una conseguenza di queste sue funzioni primarie». Nori propone una visione dei “graffi” in pagina. «Mi sembra che la punteggiatura segni il confine tra la lingua scritta e la lingua parlata. Le virgole, i punti e virgola, i due punti, i puntini di sospensione, quando parliamo, non ci sono. Compaiono se sbobiniamo i nostri discorsi, se li trasportiamo da una dimensione orale a una dimensione scritta».  Ecco apparire la virgola che, però, può diventare una lacrima quando è bistrattata nel suo uso. «Spargerla a caso è un altro errore tipico, insieme con l’intenzione di trarre regole generali che detterebbero di anteporre sempre una virgola davanti a determinate parti del discorso, come davanti al pronome relativo che», spiega Tonani. Dalla grammatica serve partire, anche se la letteratura ci regala eloquenti eccezioni. «Ho l’impressione – suggerisce Nori – che si debba evitare, quando si scrive in prosa, e anche in poesia, l’uso scolastico della punteggiatura: quello che vuole, per esempio, che prima del ma ci sia sempre la virgola». E l’organizzatrice del Festival consiglia: «L’indicazione più preziosa che viene dai “grandi” è che ci possiamo permettere lo scarto dalla norma soltanto se abbiamo una conoscenza e una padronanza del canone che si va a infrangere. Così ogni libertà d’uso non spunta nel testo come mera casualità, ma si percepisce come parte di un sistema coerente che è lo stile e la ragion d’essere profonda di ciascun testo d’autore».
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