sabato 24 agosto 2019
Da clochard a star internazionale grazie anche a un documentario trasmesso in Svezia Dalla sua viva voce, la storia incredibile del “Cinderella Man” della scena folk Usa
Douglas 'Doug' Seegers, cantautore country, nato nel 1952 a Long Island

Douglas 'Doug' Seegers, cantautore country, nato nel 1952 a Long Island

COMMENTA E CONDIVIDI

In buona parte d’Europa nonché nella sua patria, gli Usa, lo chiamano “Cinderella Man”: ossia Cenerentolo. Parliamo di Doug Seegers, nato nel 1952 a Long Island, cresciuto nel Queen’s e negli ultimi cinque anni capace di mettere in fila più canzoni al numero uno di iTunes (su tutte Going down to the river), primi posti in classifica tra Scandinavia e States, dischi d’oro a gogò, collaborazioni con giganti della musica a stelle e strisce come Emmylou Harris e Jackson Browne, critiche che lo paragonano a Johnny Cash, un’autobiografia vendutissima, cinque cd di successo (compreso un tributo ad Hank Williams, icona del rock Usa), ed infine oltre trecento concerti tutti soldout in Europa: dove tuttora è in tour. E voi direte: perché, dunque, Cenerentolo? Perché nel 2014 Seegers, il cui padre scappò di casa quando aveva solo otto anni, lasciandolo aggrappato alla sua chitarra e proprio agli lp di Williams quali primari conforti, dopo aver sperimentato più mestieri e tentato il sogno della musica era ormai, da anni, un clochard. Aveva perso il lavoro d’ebanista, abbandonato moglie e due figli, sofferto di dipendenze estreme da alcol e droga e viveva in strada a Nashville: con la sua chitarra, e tanti blocchi a spirale fitti dei versi di quelle canzoni che in vent’anni di vagabondaggio aveva continuato a scrivere, senza però mai pensare di poterle proporre a un pubblico vero. Poi la svolta, sotto forma d’una star svedese del country di nome Jill Johnson, giunto a Nashville per girare un documentario sui musicisti della città. E quando Johnson va alla mensa dei poveri di West Nashville di cui Seegers è cliente fisso, il gestore Stacy Downey gli consiglia di dare un occhio a quel tipo chiuso che canta cose sue e solo da poco pare uscito dal tunnel. Johnson esegue, e riprende Doug Seegers su un prato mentre canta la già citata Going down to the river. «Sto scendendo al fiume per lavarmi l’anima, ho corso a fianco del diavolo ma ora so che non è un amico». E quando poi il documentario di Johnson Jills Veranda va in onda in Svezia iTunes esplode per giorni: tutti vogliono Doug Seegers e Cenerentolo da barbone si fa superstar. Con un magnifico cd nuovo (il sesto) intitolato A story I got to tell: perché Seegers ce l’ha davvero, una storia da raccontare.

Doug, come sintetizzerebbe la sua vita?
Ho avuto una marea di dipendenze per molti anni, ed ero arrivato al punto di pensare che sarei morto presto, a causa della droga e dell’alcol che consumavo. Poi un giorno mi sono alzato e ho sentito dentro ch’era tempo di cambiare: ho pregato a lungo e Dio mi ha guarito l’anima, sono pulito e sobrio ormai da sei anni. La mia vita oggi è totalmente diversa.

Possiamo dire che la musica l’ha aiutata a salvarsi?
Solo in parte, credo davvero sia stato il Signore. Però ho anche fede nella forza della musica, sì.

E come concepisce adesso il suo scrivere canzoni?
Unendole alla mia esperienza di uomo che ha trovato la retta via. Sento forte, la responsabilità di scrivere cose che aiutino altri a fare come me: credo che la musica dovrebbe essere sempre, terapeutica.

Le canzoni da lei incise negli ultimi anni vengono tutte dai blocchi compilati in vent’anni per strada?
Sono anche di trent’anni fa, ora quando ho la fortuna d’incidere le mischio a quelle che ho appena scritto. Vede, per me scrivere canzoni è stata sempre una forma d’aiuto, è una mia terapia dell’anima.

Di cosa vuol parlare per esempio in Six feet under?
In quella canzone dell’album appena uscito volevo osare un gospel per non credenti. Il brano parla della potenza che il demonio può avere e che io ho sperimentata, visto che m’ha gettato in un baratro.

Angel from a broken home invece sembra ispirata a quando suo padre abbandonò la famiglia… È proprio su un padre che abbandona figli ancora piccoli, sì: volevo avvertire tutti delle conseguenze tremende che certe cose hanno sui bambin.

Il suo cd è ricco di episodi molto belli, da Life is a mistery sul mistero della vita a White line, ma forse il vertice è Give it away: regalare che cosa?
La canzone dice che dobbiamo imparare ad aprirci agli altri e a mostrare sempre loro pietà, regalando aiuto a chi s’è perso. L’idea del testo m’è venuta a una riunione degli Alcolisti Anonimi: si parlava di come solo un nostro restare sobri potesse consentirci d’aiutare anche altre persone a uscire dall’incubo.

Così ora la paragonano all’icona Cash: che ne pensa?
Vorrei, essere ai quei livelli… Ma non è stato un mio modello: e ogni autore penso abbia il suo stile.

Che cosa pensa invece, oggi, del mito “droga sesso e rock’n’roll” che subì pure anche Hank Williams, lui sì invece suo punto di riferimento sin da bambino?
Non so risponderle. Perché prima d’incontrare Dio io l’ho vissuto, quel mito, dentro una vita al limite.

Come reagisce la gente ai suoi numerosi concerti?
Molti mi dicono che con le canzoni li aiuto a trovar la forza per ripulire le loro vite. Anzi, un uomo a Stoccolma m’ha detto che era appena uscito di galera e solo ascoltando Going down to the river è riuscito a tenersi ben lontano dalla bottiglia.

Lei ha imparato qualcosa, vivendo anni per strada?
Solo trucchi per sopravvivere. Molti, purtroppo: perché già a diciott’anni, appena finita la scuola, vivevo in edifici abbandonati suonando e drogandomi.

Dopo quanto ha vissuto, oggi di che cosa ha paura?
Sa, tutti a volte ci sentiamo soli, ci deprimiamo, rischiamo di ricadere in tentazione. Ma per ora per fortuna mi sento forte; tengo alla larga i pericoli.

Quali rimpianti ha, invece, magari come padre?
Un sacco, ho fatto del male a tanta gente. Solo che non posso tornare indietro: posso solamente provare oggi ad essere migliore di come sono stato ieri.

Senza la Svezia, sarebbe ancora clochardmusicista?
In realtà ero pulito già prima d’incontrare Johnson, e qualcosa si muoveva pure a Nashville. E anche ora, ogni volta che posso, suono per strada: solo che sono piuttosto sicuro che non tornerò a viverci.

Senta, mister Doug: e adesso? Non si ferma da cinque anni…
E ancora non lo farò. Sono in tour sino a Ferragosto tra Svezia e Norvegia, poi ho dei festival negli States, indi tornerò in Europa per suonare in Olanda, Germania, Inghilterra e da voi. E nel 2020, oltre a fare un ampio tour in patria, vorrei realizzare un sogno cui lavoro da un po’: un mio disco di gospel.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: