sabato 3 settembre 2011
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Dopo decenni in cui il "pensiero debole" ha goduto di diffuso ascolto, da qualche tempo si mostrano segnali di un diverso orientamento all’insegna di un "nuovo realismo". In un recente Manifesto pubblicato su "Repubblica" di Maurizio Ferraris si intende «restituire lo spazio che si merita, in filosofia, in politica e nella vita quotidiana, a una nozione, quella di "realismo", che nel mondo postmoderno è stata considerata una ingenuità filosofica e una manifestazione di conservatorismo politico». In dialogo critico con Vattimo, Ferraris ha notato che il primato delle interpretazioni sopra i fatti e il superamento del mito della oggettività, cui si richiamavano i debolisti, non hanno avuto gli esiti di emancipazione che immaginavano filosofi postmoderni come Richard Rorty. Il manifesto vuole allontanare l’assunto che tutto sia socialmente costruito, e «riabilitare la nozione di verità», tartassata per futili motivi dal pensiero debole. Inoltre un freno all’interpretazione infinita ed una viva attenzione etico-politica completano il quadro. Un realista incallito come il sottoscritto non può che rallegrarsi convintamente, non senza osservare che la nozione di verità non è stata mai abbandonata, neppure nel XX secolo in cui tanti si sono posti con un eccesso di entusiasmo alla scuola di Nietzsche e di Heidegger, seguendoli nel loro scatenato antirealismo: non si può perciò professare il realismo partendo da loro.Rivendicazioni di realismo filosofico sono aumentate negli ultimi decenni del ’900, in specie nell’area latamente analitica (pensiamo al Putnam di Realismo dal volto umano). Tuttavia il realismo era ben presente anche prima con la filosofia dell’essere, massima tradizione filosofica insieme al neoplatonismo, sebbene quasi nessuno volgesse attenzione da quella parte. Questa tradizione ha tenuto vivo che il linguaggio fondamentale della realtà è quello della metafisica, non delle scienze. Inoltre dal realismo classico e dalla metafisica che le si congiunge sono venute le migliori interpretazioni del nichilismo e le terapie contro di esso.Se stiamo ai "fatti intellettuali", non vi è dubbio che l’abbandono del realismo ha segnato la vittoria del nichilismo speculativo e pratico, mentre una ripresa di realismo dovrebbe portare con se liberazione e antirelativismo. Noi abbiamo bisogno non solo di conoscere ma di una verità stabile che non muti ad ogni vento, e questo è antinichilismo, essendo la negazione del sapere e della verità un volto fondamentale del nichilismo.È presto per avanzare valutazioni sul cammino incipiente del nuovo realismo, meglio stare a suggestioni e domande. La prima forse è che la tradizione del realismo dai Greci a noi è molto ricca e complessa, e parimenti la portata dei problemi per i quali il realismo ha avanzato risposte. Il nuovo realismo reagisce opportunamente a postmodernismo e debolismo, ma forse potrebbe ulteriormente porsi, entro un’adeguata teoria della conoscenza, domande del tipo: che cosa significa pensare, quale il rapporto tra pensiero e realtà, che cosa sono concetti e giudizi e che cosa ci dicono. Per reagire efficacemente all’atteggiamento antiteoretico del debolismo, nascente da un’opzione pratica, politica e morale, non ci si può porre sullo stesso terreno, partire cioè da una rivolta contro ciò che veniva considerato a torto o a ragione potere e violenza. Un’esigenza politico-morale, per quanto valida e sincera sia, non può costituire base adeguata del problema della verità; può anzi succedere che la pur giustificata critica del potere e della violenza retroagisca sulla base di partenza speculativa, alterandola seriamente.Anche il richiamo all’illuminismo, esplicito in Ferraris e numerosi altri, merita attenzione e discernimento. La strada maestra del realismo precede largamente il realismo illuminista, che rimane parziale e un poco monco in quanto è un realismo della scienza ed un realismo morale, meno un realismo speculativo capace di fare i conti col tema del divenire e con l’inferenza teologico-speculativa che ne deriva (l’esistenza di Dio). Ne proviene un realismo non poco dimidiato che si accontenta, seguendo più o meno volontariamente Nietzsche, di pensare il divenire come originario e improblematico. Un nuovo realismo di questo tipo servirebbe per battaglie etico-politiche, magari anche significativa, ma cadrebbe al di qua del problema metafisico. Vi è un punto che il manifesto lascia implicito ma che è poi emerso in interventi successivi. Il nuovo realismo può evolvere verso un nuovo materialismo, osannato appunto da qualche intervento. La tesi materialistica, sotto la veste del nuovo naturalismo, è oggi diffusissima e ci vuole poco coi tempi che corrono per identificare realismo e materialismo. L’esito sarebbe un disguido di prima grandezza, cui seguirebbero chiusura intramondana, amputazione dello spazio del filosofare, ed una secca compromissione dell’istanza liberante.
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