giovedì 4 giugno 2020
Maurizio Gnerre inaugura (online) il Premio Ostana, dedicato alle lingue minoritarie, con una conferenza sugli autori amerindi
Maria Clata Sharupi

Maria Clata Sharupi

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Oggi una videoconferenza di Maurizio Gnerre (ore 16.50) dedicata ai popoli nativi aprirà la due giorni di dirette dell’edizione speciale online del Premio Ostana 2020. Il filo conduttore del programma online di quest’anno sarà quello di sempre: dare voce alle lingue indigene nel mondo. Secondo l’Unesco, infatti, ci sono 7.000 lingue correntemente parlate nel mondo, e di queste circa il 40% è in pericolo. Le Nazioni Unite hanno proclamato il Decennio Internazionale delle Lingue Indigene 2022–2032 e l’obiettivo è chiaro: attirare l’attenzione dei cittadini sulla scomparsa delle lingue indigene e sulla necessità di preservarle. È a partire da questi principi che si snoderà l’intervento di Gnerre, linguista, antropologo e consulente alle Nazioni Unite sui temi delle culture minoritarie. Nella sua conferenza racconterà l’esperienza sul campo e – tra gli altri – introdurrà il mondo della poetessa shuar Maria Clara Sharupi, per la quale sta curando l’edizione italiana del libro di poesie Tarimiat. La sua lectio si intitolerà “Scritture indigene: poeti e narratori dell’America Centro–Meridionale” e metterà in luce come sempre più spesso le giovani generazioni dei popoli indigeni scrivano nelle loro lingue madri.

Cosa significa oggi parlare di scrittori e poeti indigeni? «Parlarne suggerisce una riflessione sulle somiglianze fra ciò che stiamo sperimentando noi, nell’Occidente, e quello che le popolazioni indigene, specie del continente americano, sperimentano da più di cinque secoli. Tali somiglianze ci faranno sentire più vicini e solidali con quelle centinaia di popoli che ancora sopravvivono e lottano, contro tutto e tutti, dall’Alaska alla Terra del Fuoco. La prima somiglianza è quella della nostra attuale (relativa) “prigionia” che abbiamo vissuto in questo periodo: da più di cinque secoli gli indigeni sono sempre di più “locked–down”, prima dagli imperi coloniali che li avevano conquistati, e poi dagli stati nazionali emersi dalla seconda metà del ‘700. La seconda somiglianza è quella con la nostra attuale paura del contagio di un virus che non conosciamo, che è stata invece condizione costante delle popolazioni indigene americane. Ora anche noi siamo nella condizione di non sapere contro quale nemico invisibile dobbiamo combattere. Spero che queste somiglianze ci aiutino a identificarci con i loro difficili processi, che in questi decenni hanno prodotto nuove espressioni di resistenza».

Le voci delle resistenze indigene, quindi, non solo non si affievoliscono, ma crescono di anno in anno grazie a un numero sempre più consistente di poeti e scrittori delle giovani generazioni di popoli indigeni che scrivono nelle loro lingue madri e producono testi di valore letterario e intellettuale: «Per quanto tante popolazioni indigene del mondo abbiano subito, e subiscano tuttora, conseguenze più o meno dirette dell’azione coloniale e post–coloniale, la storia del loro parlare e comunicare le ha protette, sia pur debolmente, e fino a decenni recenti, da conseguenze più tragiche. Tuttavia, il mondo di cui parlano con quella lingua sta scomparendo. Molte delle parole che hanno appreso da bambini non servono più e non solo a causa della scolarizzazione e della burocratizzazione, ma molto di più perché i referenti sono scomparsi, come gli insetti o gli uccelli che tanti indigeni cercano e scrutano ogni giorno. Perciò, pensatori, poeti e scrittori indigeni hanno lavora- to senza tregua per adeguare le loro lingue a usi e referenzialità di un mondo sempre più devastato».

In tutto ciò Ostana resta uno spazio importante di confronto per continuare a lavorare su temi che oggi risultano drammaticamente evidenziati dalla pandemia, ma che da sempre sono al centro di riflessioni di chi si occupa della difesa della ricchezza linguistica nel mondo: «Ostana è uno dei pochi spazi in Italia e in Europa che dà voce a chi viene da lontano. Per me dare forza e resistenza a questi scrittori indigeni, che hanno avuto coraggio di iniziare a scrivere in lingue minoritarie con un animo molto forte, è un importante atto di resistenza. Il Premio ha sempre prestato attenzione alle minoranze culturali–linguistiche del mondo. Quest’anno presenterò il lavoro di due poetesse messicane e due pensatori indigeni brasiliani, uno del nord dell’Amazzonia, Davi Kopenawa, e l’altro del Brasile centro–orientale, Ailton Krenak. Davi Kopenawa viene dal popolo yanomami del Brasile settentrionale e un suo libro sullo smantellamento del suo popolo a opera dell’avidità dei distruttori della selva amazzonica è stato pubblicato recentemente in Italia da Nottetempo con il titolo La caduta del cielo. Lo scrittore e pensatore Ailton Krenak, del popolo krenak, invece, dovrebbe uscire con Idee per rinviare la fine del mondo (Aboca)». Oggi, da queste situazioni, non stanno venendo fuori solo scrittori, ma vere e proprie riflessioni sulla condizione esistenziale: «C’è una nuova consapevolezza e un nuovo pensiero che resiste allo svuotamento della lingua da parte dei sistemi».

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