sabato 26 settembre 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
«Sciesopoli mi ha ridato la vita, mi ha restituito il sorriso». Anna Sharir ha 76 anni. Ne aveva 6 quando arrivò a Selvino con gli altri orfani ebrei raccolti in giro per l’Europa dalla Solel Boneh, la brigata di genieri ebraici dell’esercito britannico. Era il 1945, la guerra era appena finita e il mondo era in macerie. Tragedia nella tragedia, la sorte dei bambini della Shoah, che avevano perso i genitori nei rastrellamenti e nei campi di sterminio. La brigata ebraica li scovò nei ghetti, ma anche ad Auschwitz, Treblinka e Mauthausen. Li caricò sui vecchi camion militari e li trasportò a Milano, dove la comunità ebraica si stava riorganizzando. I genieri chiesero al presidente Raffaele Cantoni di trovare un luogo di ricovero per gli orfani. Furono presi contatti con il Comitato di liberazione nazionale, che indicò la verde e tranquilla Selvino, dove sorgeva l’ex colonia dei balilla milanesi intitolata a Antonio Sciesa, patriota risorgimentale. Il 22 settembre 1945 i primi bambini iniziarono ad arrivare a Sciesopoli, dove un anno dopo approdò anche Anna. Giovedì la donna è tornata in Val Seriana per celebrare il 70° anniversario con i compagni di allora. La prima ad abbracciarla è stata Nitza, la figlia di Moshe Zeiri, il tenente che diventò direttore della colonia. I bambini furono affidati a lui: all’inizio erano una trentina, poi diventarono 400. In tre anni, Sciesopoli ospitò 800 piccoli ebrei. Moshe nella vita civile era un insegnante di musica e attore di teatro: a Selvino sperimentò un metodo didattico innovativo che mescolava storia, tradizioni, recite e piccoli concerti. Un approccio morbido, necessario per tentare di conquistare la fiducia di bambini che portavano ancora addosso i traumi della persecuzione razziale. 

Aharon Megged: "Il coro, diretto da Moshe Zeiri, divenne il fulcro delle attività culturali"«Alcuni avevano perso la parola - ricorda Marco Cavallarin, lo storico milanese che ha avuto il merito di togliere questa storia dall’oblio. - Altri avevano gli incubi notturni, urlavano nella notte. C’era persino chi non riusciva a entrare in lenzuola pulite, abituato com’era a dormire nel lerciume».  Sotto la guida paziente di Moshe, i bambini studiavano il mattino e giocavano il pomeriggio. Ma si dedicavano anche a piccoli lavoretti manuali per ritrovare il contatto con la vita quotidiana, interrotta dall’orrore. Selvino li aiutava come poteva. «Con i ragazzini del posto si giocava a pallone, si faceva amicizia. Ma di cibo ce n’era più nella colonia che fuori, perché a Sciesopoli arrivavano le donazioni dagli ebrei di tutto il mondo. Dall’America arrivavano quintali di carne in scatola e Moshe li scambiava con il legname». 

Nitza Zeiri Sarner: "Mio padre Moshe Zeiri con me e con Batia (col cagnolino). La madre di Batia insegnava matematica. Batia è diventata traduttrice simultanea all'Onu"Nella colonia si stava bene, ma era solo un luogo di transito verso la Palestina. Sulla 'Enzo Sereni', la prima nave che salpò da Arenzano con i profughi ebrei a bordo, c’erano anche 60 bambini di Sciesopoli. La rotta della speranza, allora, solcava il Mediterraneo in senso opposto. Gli inglesi, che avevano contingentato gli accessi alla Terra Promessa, bloccavano le barche e le deviavano a Cipro. Fu lì che approdarono Isaac e Lola Najman. Si erano conosciuti a Selvino, si sposarono quando riuscirono a sbarcare nel neonato stato d’Israele alla fine del ’48. Molti bambini di Sciesopoli si stabilirono in un kibbutz vicino al deserto del Negev, dove continuarono a studiare e lavorare. Isaac e Lola ebbero una figlia, Miriam, che tre anni fa ha deciso di ripercorrere a ritroso le orme dei genitori. Prima di partire ha contattato Cavallarin, che l’ha accompagnata a Sciesopoli. Insieme hanno deciso di lanciare una petizione online per salvare la struttura dall’abbandono in cui versa da anni: finora 20 mila firme non sono bastate. Dopo la partenza degli ultimi bambini ebrei la colonia fu adibita a soggiorni estivi e terapeutici, poi nel 1984 l’attività cessò e la proprietà lasciò vuoto l’edificio. Di Sciesopoli non si parlò più, gli stessi abitanti di Selvino finirono per dimenticarsene. «Per la gente di montagna è normale aiutare chi è in difficoltà. Perciò non sembrava un’impresa così straordinaria aver accolto gli orfani ebrei», osserva Cavallarin. Poi, pian piano, la memoria è tornata. Fino all’idea di organizzare il grande raduno di quest’anno. 

Aharon Megged: "Il testo della lapide scoperta in occasione del viaggio a Selvino del 1983"«Vorremmo che lo Stato rilevasse Sciesopoli per farne un luogo di attività sociali e di promozione della pace nel mondo - sospira Cavallarin - Sarebbe bello se sorgesse anche un museo dei bambini. Il Comune si sta impegnando molto, perché è consapevole che si tratta di un grande patrimonio storico e morale. Ma non ha le risorse necessarie per sistemarla». I suoi ragazzi, per ora, si accontentano di vederla così com’è. Ci pensano i ricordi a renderla bella come allora. IL RITROVO - IN 50 PER RINGRAZIARESciesopoli sorge sull’altopiano di Selvino, in Val Seriana, dove ieri sono iniziate le celebrazioni per il 70° anniversario dell’arrivo dei primi orfani ebrei. Il paese ha accolto con l’accensione dell’Albero della vita una cinquantina di superstiti: questa mattina saranno accompagnati nella vecchia colonia che li ospitò dopo la fine della seconda guerra mondiale. In programma spettacoli e mostre: un piccolo memoriale è stato allestito nel centro di Selvino. Poi, alle 17, in auditorium, saranno proiettati alcuni documentari inediti su quegli anni. Domani mattina, sempre in auditorium, i bambini di allora porteranno la loro testimonianza, mentre al pomeriggio ci sarà spazio per incontri e performance teatrali. La storia di Sciesopoli e la campagna per salvarne la memoria sono consultabili sul sito www.sciesopoli.com
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: