giovedì 28 aprile 2016
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Storia del giorno doping L’incubo e l’oblio finiscono domani. Dopo 3 anni e 9 mesi di squalifica per doping, Alex Schwazer torna a essere un atleta libero. L’8 maggio a Roma potrà essere in gara alla Coppa del Mondo di marcia: cercherà di ottenere il tempo minimo che garantisce un posto nella squadra azzurra ai Giochi di Rio di Janeiro. Ma soprattutto il perdono di chi si era fidato di lui e aveva esultato per le sue imprese. È diverso dal ragazzo che vinse l’oro a Pechino nel 2008: un grande allenatore come Sandro Donati lo ha riportato sulla strada giusta. «Ho sbagliato, ho pagato. Liberi di insultarmi e di pensarla diversamente – ha detto pochi giorni fa Alex in un’intervista – ma ora basta, voglio andare avanti». Dietro c’è un racconto però, un dramma non solo personale: una storia d’amore tradito, un intreccio di sport e di cuore. Storia lunga, strada lontana. Parte da Pechino, anno 2008, in un mattino di sole e di gloria. Lei, Carolina Kostner, fidanzata allora ancora segreta, a Pechino non c’era. Un amore appena colto, delicato, da seguire in tv, da nascondere sotto i pattini. Quelli che affilava per vincere, pulita, leggera, trasparente. Lei. Lui, Alex Schwazer, quel giorno invece aveva la gioia nelle sue scarpe linde. Così almeno diceva. E noi a credergli, perché allora magari era ancora vero. Marcia, il nome del suo sport. Ma non solo di quello. Trionfale l’arrivo in pista. Dopo tanto asfalto calpestato, preparando la frase più bella che uno sportivo possa dire sul traguardo: «Non sono felice perché ho vinto, ma ho vinto perché sono felice». Certi giorni e certi concetti andrebbero martellati nella memoria, per aiutarci a scolpire un futuro migliore. A che servono sennò 50 chilometri di follia pura, ruminati coi piedi, srotolati col passo più ferocemente innaturale che l’uomo possa concepire? Ma questa è la marcia, esercizio di sofferenza, palestra d’esistenza. Così quel ragazzo del profondo Nord, dalla faccia pallida e apparentemente vera, nel ventre di uno stadio d’Oriente ci ha regalato la bussola. E insegnato, sorridendo, il senso giusto della vita. Non sapevamo, non potevamo sapere cosa ci sarebbe stato poi. E ci siamo lasciati andare, raccontando la sua impresa come se fosse epica anziché, forse già allora, chimica. In piedi per Alex Schwazer – abbiamo battuto sui tasti del computer – in piedi per questo altoatesino con gli spigoli, anni 22 di saggezza asciutta: gambe magre, occhi d’acciaio. Era uscito dalla sauna pechinese con le braccia alte e il cuore fresco. Era ancora in corsa e festeggiava come uno che aveva già finito. Un futuro grande sotto le scarpe e un presente prodigioso da raccontare. La sua medaglia d’oro è stata la più grande emozione di quelle Olimpiadi. Quattro anni dopo la verità. Il 6 agosto 2012 mentre Londra lo aspetta al bis, viene annunciato che Alex Schwazer è stato trovato positivo all’eritropoietina ricombinante in un controllo antidoping a sorpresa effettuato il 30 luglio. Sospeso, escluso, finito. Tradita un’idea, e insieme un ricordo. E una donna, la sua. Le conseguenze dell’amore fanno sempre male. Mandano in fuorigioco se si gioca sporco. E in certi momenti il manuale della passione si slaccia dall’etica dello sport. Si finge di non vedere, ci si convince di non sapere. Per amore, solo per amore. Non sei complice, ma stai a distanza da una verità che fa male. Così dici all’ispettore della Wada che si presenta a casa a Oberstdorf per un controllo antidoping a sorpresa che il tuo fidanzato, Alex Schwazer, non c’è. E che non sai dov’è. Tra la campionessa che odia barare e la donna che deve sopportare chi ama e bara, vince la parte Fiale, siringhe. Alex il doping lo acquistava anche su internet. Ex hockeista su ghiaccio pentito: ha sempre chiesto troppo a se stesso per sopportare una squadra. Ex ciclista disamorato, perché le suole lo rendevano più felice delle gomme. Alla fine aveva scelto la marcia: fatica più tecnica, perfetta per lui. Ventotto battiti a riposo, come Fausto Coppi, la cifra di un cuore super. Che diventano 190 in gara, sempre meno di chi gli marcia a fianco. Infatti sembrava giocasse un altro gioco quel giorno a Pechino: lui potente, fresco e preciso. Il resto del mondo che arrancava e si schiantava per terra dopo il traguardo, boccheggiando ossigeno e pietà. «La fatica? Fino ai primi 30 chilometri di gara mi sembrava di essere a letto a guardare la tv», disse. Nessuna spacconeria, per crederci bisognava vederlo, imparare il mondo nascosto che sta a monte di un’impresa, bordeggiando sentieri di periferia e di inesistente notorietà. Abitano lì gli uomini di un mondo timido che si sveglia presto e non va mai a letto tardi, che ogni anno si sciroppa 6.000 chilometri di passi storti, 170 a settimana. È la marcia, bellezza. Quella che ti sfibra i muscoli e non ti fa sembrare normale, ma che sa partorire un ventiduenne che parlava come un vecchio saggio cinese: «Vincere o perdere – spiegava Alex alla fine – a me interessa poco. Avere il gusto di marciare e sentire la serenità dentro di me: questo conta. E se sono sereno, io non posso perdere. Mai». Certo. E per questo si è buttato via. Bugiardo. Traditore. Questo è stato il carabiniere Alex Schwazer: un monaco in braghe corte, caparbio e maniacale quando si allenava nella sua cella all’aria aperta in Alto Adige. Con il k-way addosso, a marciare e a sudare come una bestia, per abituarsi al sole torrido di Pechino. Sembrava un supereroe alla fine, con la sua medaglia d’oro al collo ferocemente voluta. Chissà quante volte avrà pensato che a stare con i piedi per terra non si va lontano. Ma aveva paura di non vincere più. Questo l’ha rovinato. Poche ore dopo lo scoppio dello scandalo, Alex si presenta ai Carabinieri di Bologna per riconsegnare pistola e tesserino. Il 23 aprile 2013 il Tribunale Antidoping stabilisce per lui una squalifica di 3 anni e 6 mesi. Il 22 dicembre 2014 a Bolzano, patteggia la pena di 8 mesi con una multa di 6.000 euro. Il 12 febbraio 2015 l’Antidoping del Coni gli aggiunge altri 3 mesi di squalifica sportiva: il 30 luglio 2012 avrebbe «eluso o si sarebbe rifiutato senza giustificato motivo di sottoporsi al prelievo dei campioni biologici» chiedendo alla fidanzata Carolina Kostner di negare la sua presenza in casa. Anche Carolina paga la sua scelta d’amore con una squalifica di 1 anno e 4 mesi. L’imputazione per lei è: “omessa denuncia”. Tutti i riflettori su Carolina, che nascondeva il suo uomo agli ispettori dell’antidoping che lo cercavano per i controlli. E nessuno, o quasi, puntato contro chi tra tecnici e dirigenti sportivi per anni ha permesso che una quarantina di atleti azzurri prima, insieme e dopo Schwazer, evitassero di comunicare la propria reperibi-lità, come previsto dai regolamenti per favorire i test a sorpresa. Questa inchiesta è scattata solo dopo, ma ha fatto molto meno rumore. Nell’aprile 2015 Alex Schwazer ha confessato davanti ai magistrati di Bolzano di aver assunto sostanze proibite già dall’estate del 2011, e di aver collaudato il suo “piano doping” in vista della Olimpiadi di Londra assumendo eritropoietina dal 20 febbraio del 2012, prima dei grandi risultati del marzo successivo, a Lugano e Dudince. Nella memoria scritta, poi ribadita in un interrogatorio, ha spiegato che il suo doping all’epo era stato preceduto da quello con il testosteron e. Inoltre ha rivelato di avere raccontato già nell’aprile 2012 a uno dei medici rinviati a giudizio, Pierluigi Fiorella, di essersi dopato. Una verità a scoppio ritardato che ha spiegato così: confessare di essersi dopato a Lugano e a Dudince, in presenza di un controllo negativo, avrebbe messo in discussione anche i risultati precedenti, Olimpiadi comprese, che Alex ha continuato a giurare siano state completamente pulite. «In quell’occasione ero pulitissimo, lo giuro. Poi ho sbagliato, ho distrutto tutto quanto di buono ho fatto in questi anni, tutto cancellato. Non riesco più a guardarmi allo specchio…». Schwazer si inquinava il sangue per vincere: tanti sapevano, nessuno fece nulla. Finche la Wada, organismo internazionale, lo scoprì. Lui ha pagato, ma c’era una storia di cuore ancora da sezionare. E il dramma di una ragazza di 27 anni, messa alla gogna per quello che tutti, o almeno molti altri tra noi, avrebbero fatto. Mentire per coprire l’uomo che ami. Quando Carolina ha capito cosa era successo davvero, non ha più voluto vederlo. Lei, l’angelo del ghiaccio, cercava solo un cuore caldo da stringere. L’hanno punita dimenticando che aveva già scontato la pena più terribile: quella di perdere la persona che ami per non essere riuscita a cambiarla. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il personaggio Domani termina la lunga squalifica del marciatore altoatesino. Un percorso di gloria e caduta, ma soprattutto una ricerca di perdono e rinascita PECHINO L’arrivo trionfale di Alex Schwazer nella 50 km di marcia ai Giochi del 2008 A sinistra la sua fidanzata di allora Carolina Kostner, campionessa di pattinaggio su ghiaccio
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