domenica 27 settembre 2015
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Non sono mai stato un fanatico di Saviano scrittore e ho subito pensato che l’enorme successo di Gomorra gli avrebbe creato intorno, o meglio buttato addosso, una cornice, una bardatura mediatica che sembrava ingigantire e invece spettacolarizzava e addomesticava il suo messaggio.  Non credo molto alla denuncia del crimine come materia letteraria, a meno che non si sappiano inventare personaggi davvero nuovi. Il crimine è meglio combatterlo che rappresentarlo.  Il cinema ha dimostrato fino alla nausea che i bei film sulla violenza diventano fatalmente pubblicità estetica regalata alla violenza. Quanto a Saviano, i miti mediatici si consumano tanto più velocemente quanto più entrano a far parte dell’arredo culturalistico che ci circonda. Comunque non mi sono neppure piaciuti i demistificatori di Saviano in quanto star, perché attaccarlo come star significa peggiorare la situazione e contribuire a dimenticare che quel misto di informazioni e di ossessioni di cui sono fatti i libri di Saviano punta il dito su realtà realissime. La rete mondiale del crimine esiste, si riproduce, si rafforza, trova modo di rilanciarsi, perfino in forme peggiori, dopo ogni sconfitta: ed è giusto che degli ossessivi, coraggiosi reporter non smettano di dirci che cosa succede nei vasti sottosuoli anche di società in superficie non violente e civilizzate.  Saviano ha cominciato col dirci che quello che accade tra Napoli e Caserta non finisce lì, ma fa il giro del mondo. Ho letto l’articolo di Michael Moyniham pubblicato venerdì scorso sul “Foglio” in cui Saviano è accusato di plagio. In ZeroZeroZero vengono individuati una quantità di passi che risultano “rubati” da altri reportage o perfino da Wikipedia, senza che sia mai indicata la fonte e come se fossero frutto di ricerche, scoperte di prima mano e interviste fatte personalmente da Saviano, che invece risulterebbero inventate.  Come si difende Saviano? Da furbo? Da ingenuo? Secondo me, più da ingenuo che da furbo. La sua aureola di scrittore famoso deve avere cristallizzato in lui l’identificazione, più precisamente la confusione, fra reportage e romanzo, giornalismo e narrativa. Copiare qualcosa o molte cose non deve essergli sembrato una colpa, una scorrettezza. Più che per disonestà, perché non è capace di dare peso alla deontologia giornalistica che impone di dire come fai a sapere quello che dici. È ovvio che prima o poi un vero giornalista si accorgesse che hai saccheggiato o manipolato fonti senza dichiararle. Forse il successo e la tragica situazione di chi vive da anni sotto scorta, hanno impedito a Saviano di crescere, di maturare. Di capire cioè che le regole del giornalismo e quelle della letteratura non sono la stessa cosa.
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