lunedì 15 maggio 2017
Ma anche fotografi, tecnici del suolo e light designer: le storie di chi trasformando una passione in lavoro fa sì che ogni sera il sipario si alzi
Sarti e scenografi pilastri del teatro
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Più che su libri e dispense si formano in laboratorio, sporcandosi le mani con la vernice, tirando corde, piantando chiodi o imbastendo orli. Cose che continuano a fare anche quando hanno trovato un posto di lavoro. In un teatro, in una sartoria, in una casa discografica. In Italia o all'estero, poco importa, perché «lo spazio per il talento c'è, occorre dimostrare entusiasmo e voglia di fare» si dice convinto Andrea Giretti, classe 1964 di Civitanova Marche, oggi lighting designer al Teatro alla Scala «dopo aver appreso il mestiere sul campo, lavorando per anni come tecnico luci e capo elettricista». Artigiani dello spettacolo perché dietro le quinte c'è un mondo fatto di scenografi realizzatori e sarte, tecnici luci e fonici, parrucchieri e truccatori, professionisti senza i quali le idee di un regista resterebbero solo un progetto, i bozzetti di uno scenografo solo un bel disegno. «Mi affascina vedere diventare tridimensionale un disegno» dice Agostino Sacchi, nato a Broni nel 1988, scenografo realizzatore al Piermarini dopo essersi specializzato all'Accademia del Teatro alla Scala.

«Un mestiere che si impara sul campo, guardando ai più anziani che possono tramandare ai più giovani un sapere antico» riflette Antonio Iavazzo, napoletano, classe 1979, anche lui formatosi in Accademia milanese e oggi vice responsabile della sartoria del Teatro alla Scala. I figurini dei costumisti prendono forma tra le sue mani. «Li seguo dalla sartoria sino al palcoscenico, dove li vedo indossati da cantanti e ballerini». Antonio sin da ragazzo ha inseguito il suo sogno perché «spazio per il talento c'è anche se per affermarlo occorre caparbietà, occorre puntare all'obiettivo e non farsi distogliere da offerte e aspettative sbagliate». In un'aula, tra computer e mixer, c'è Oscar Frosio, vent'anni, ma con già chiaro che il suo futuro sarà nel campo audio. «Ho mosso i primi passi facendo il mixerista ai saggi della scuola di danza di mia mamma. Ora sto provando a far diventare lavoro una passione» racconta il tecnico del suono di Borgo San Giacomo, in provincia di Brescia. «Con il digitale si entra in una nuova era in tutti campi, anche per quello che riguarda l'audio. Ecco perché occorre essere preparati» riflette ancora non escludendo, un domani, di andare all'estero. «Le occasioni di lavoro ci sono, ma trovare un posto fisso è difficile per tutti mestieri che riguardano l'arte. Unica eccezione le case discografiche: per questo molti miei coetanei con la passione per l'audio vanno in Inghilterra dove è nata la discografia».

A Londra è volata anche Serena Fusai, sarta teatrale specializzata in balletto: da quattro anni lavora per l'English National Ballet. «Avevo già vissuto qui e avevo voglia di esplorare una nuova cultura oltre che specializzarmi in costumi per il balletto. La mia è stata una scelta professionale perché, terminata la formazione, ho avvertito l'esigenza di allargare i miei orizzonti. Qui poi c'è una vasta offerta lavorativa» racconta Serena, nata a Grosseto nel 1986 dove ha appreso la passione per la sartoria «dal nonno che era sarto da uomo. Volevo specializzarmi nel campo della moda, ma durante gli anni dell'università ho scoperto il mondo del costume teatrale«. Oggi Serena oltre a realizzare i tutù per le ballerine dell'English National Ballet tiene corsi in diverse università del Regno Unito. Il sapere italiano, dunque, fa scuola anche all'estero. «Guardare oltre confine fa sempre bene, non bisogna precludersi questa possibilità» interviene Agostino Sacchi, per lungo tempo assistente dello scenografo William Orlandi. «Con lui ho lavorato praticamente sempre all'estero, un'esperienza che mi ha formato. Ma poi sono tornato in Italia, dove ho conosciuto molte persone che riescono a vivere di teatro anche in zone sperdute del paese: se si vuole gli spazi ci sono anche se quella che c'è oggi nel mondo dell'arte non è una situazione rosea» riflette.

Lo ha provato sulla propria pelle Federica Domestici. «Ho mandato il mio curriculum in molti teatri, ma ho ricevuto pochi riscontri. Capitava cinque anni fa. Ero quasi scoraggiata, tanto più che avevo deciso di frequentare l'Accademia della Scala dopo aver mollato un lavoro sicuro in ufficio» ricorda Federica, nata nel 1978 a Luino. «Il periodo di stage è stato fondamentale perché ho potuto confrontarmi con il mondo del lavoro, gettare un seme che poi mi ha permesso di raccogliere frutti perché oggi sono parrucchiera e truccatrice nei camerini del teatro lirico milanese» racconta Federica che ha realizzato le parrucche indossate da coriste e comparse nella Madama Butterfly che lo scorso 7 dicembre ha inaugurato la stagione scaligera: «Una bella soddisfazione vederle in scena e in tv dopo averle sistemate e risistemante sino a un minuto prima che si alzasse il sipario».

A realizzare le luci dell'opera di Puccini c'era Andrea Giretti che a quarant'anni si è reinventato una professione mettendo a frutto l'esperienza maturata sul campo come capo elettricista. «Se sei volonteroso e disponibile prima o poi qualcuno se ne accorge» si dice certo il lighting designer marchigiano, non nascondendo di aver pensato anche di trasferirsi all'estero, anche se poi ha scelto di rimanere in Italia: «La nostra professione ci impone di essere sempre con la valigia pronta» dice. Valigia che ha fatto tante volte Laura Ferrari, fotografa di scena lodigiana, classe 1976, che «pur ritenendo importante un'esperienza all'estero» pensa che ormai «il mondo lo si può incontrare anche in Italia: io ho avuto la fortuna di lavorare con artisti internazionali».

Ma la fotografa che ha immortalato Roberto Bolle e Marina Abramovic riflette anche sul fatto che «per chi fa il mio mestiere il posto non è poi così tanto e quello che c'è occorre conquistarselo: bisogna studiare molto e non solo a livello tecnico, ma occorre farsi una cultura, capire come funziona il teatro. Tanto più che nell'era dei social sembra che tutti siano capaci di fare fotografie: non è così, ma non sempre nei committenti c'è la capacità di riconoscere il talento».

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