martedì 16 ottobre 2012
​La «Vijecnica», diventata il simbolo della distruzione della città, è stata ricostruita con 10 milioni della Ue e seguendo i progetti originali dell’Impero austro-ungarico
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Il poeta bosniaco Goran Simic vi­de bruciare l’antica Biblioteca di Sarajevo dalla finestra di casa sua. In preda alla disperazione, pen­sò alle migliaia di libri antichi che stavano per essere inghiottiti dalle fiamme e immaginò che i perso­naggi raccontati in quelle pagine indimenticabili stessero trovan­do una nuova vi­ta. Vide Werther seduto accanto ai muri sbreccia­ti del cimitero. Quasimodo che si dondolava sul minareto della vicina moschea. Il giovane Tom Sawyer che si tuffava dal ponte di Princip. Raskol­nikov e Mersault che avevano fatto amicizia e chiacchieravano in uno scantinato. Yossarian che era inten­to a vendere provviste al nemico. Mi­gliaia di libri stavano volando via, carbonizzati come neve nera, dal tet­to sventrato della biblioteca, insieme a incunaboli e manoscritti rari e pre­ziosi. Furono ridotti in cenere in ap­pena tre giorni, alla fine di agosto 1992, dalle bombe incendiarie lan­ciate dai nazionalisti serbi apposta­ti sulle colline intorno alla città. L’e­roica catena umana formata per cer­care di salvare quei volumi non servì a niente di fronte al fuoco dei cec­chini e delle armi antiaeree che col­pivano senza pietà anche i bibliote­cari, i volontari e i vigili del fuoco. Quello che sarebbe diventato il più lungo assedio di una città europea dai tempi della Seconda guerra mondiale era iniziato da pochi me­si e aveva già raggiunto il primo o­biettivo: distruggere la Vijecnica, la storica Biblioteca nazionale e uni­versitaria di Sarajevo, l’unico archi­vio nazionale del Paese, cancellan­do con esso l’intero patrimonio cul­turale della Bosnia-Erzegovina. Quei libri, edizioni antiche e spesso uniche, non torne­ranno mai più. Ma final­mente l’edificio diventato il simbolo della distruzione di Saraje­vo durante la guerra di Bosnia è tor­nato in questi giorni al suo antico splendore architettonico. L’impo­nente palazzo costruito dagli austro- ungarici alla fine del XIX secolo era rimasto a lungo uno scheletro di mattoni bruciati, pieno di tonnella­te di cenere. Oggi, dopo 4 anni di la­vori costati una valanga di soldi pub­blici, sono state finalmente rimosse le impalcature liberando le splendi­de facciate moresche che riflettono i loro inconfondibili colori rosso e o­cra nelle acque del fiume Milijacka. Secondo i dati for­niti dall’agenzia Sarajevo Con­struction il piano di recupero è co­stato circa 10 mi­lioni di euro ed è stato finanziato dall’Unione euro­pea e da molti Sta­ti membri, a par­tire dall’Austria, e­rede di quell’Im­pero che fece costruire l’edificio nel 1896. Le carte originali del progetto risalenti a poco più un secolo fa so­no state ritrovate negli archivi di Vienna, e hanno consentito un re­stauro assai meno problematico di quello effettuato anni fa per l’antico ponte di Mostar.Le principali difficoltà sono sor­te per reperire i differenti tipi di marmi delle colonne interne, degli archi e dei merletti, e anche per ricostruire le decorazioni in gesso e le bellissime finestre di vetro intar­siato. Ma parlare solo di re­stauro è riduttivo. È stata u­na rinascita dal forte impat­to evocativo, quasi un trionfo della civiltà contro la barba­rie. La Vijecnica, infatti, non era una semplice biblioteca, ma un luogo che conservava la storia e la memoria di una città, di un Paese e della sua gente. Ha ricordato qualche anno fa la giornalista di Sa­rajevo Azra Nuhefendic: «L’aula principale era enor­me, sembrava un salotto rea­le, o una grande chiesa tra­sformata in sala di lettura. Dentro c’erano file di pan­chine, sedie e scrivanie di le­gno massiccio. Emanavano un odore misto di polvere, degli anni passati e del gras­so che si usava per conser­vare il legno. Ci si entrava con cautela, in silenzio, con il fia­to sospeso, cercando di attu- tire il rumore dei propri passi. L’im­portanza del posto proveniva dalla bellezza e grandiosità del palazzo e dal fatto che, da noi, il libro era con­siderato un oggetto sacro». Eppure la gioia per la rinascita della Vijecnica si è in molti già tramutata in delu­sione, pensando al futuro. N eanche le numerose dona­zioni di libri che negli anni si sono susseguite – alcune dall’Italia – le consentiranno di tor­nare a essere quello che era. Il sin­daco di Sarajevo, Alija Behmen, ha annunciato che l’edificio riaprirà uf­ficialmente nel maggio 2014, un se­colo esatto dopo l’assassinio dell’ar­ciduca Francesco Ferdinando. L’ere­de al trono austroungarico e la mo­glie Sofia vennero ritratti sulla scala del palazzo pochi minuti prima di essere uccisi dal giovane nazionali­sta serbo Gavrilo Princip, quel tragi­co 28 giugno 1914 che innescò il pri­mo conflitto mondiale. L’edificio, che ospitava all’epoca il municipio di Sarajevo, fu adibito a biblioteca nazionale solo nel 1949. In tempi re­centi il Consiglio municipale ha de­ciso di modificarne di nuovo la de­stinazione d’uso, facendolo tornare sede dell’amministrazione cittadi­na. La nuova biblioteca nazionale e universitaria ha trovato spazio in un luogo anonimo e a stento dispone dei fondi per le attività essenziali.
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